Charlotte Delbo e le donne di Auschwitz

Oggi è il giorno della memoria. E almeno oggi si deve e si vuole ricordare. Molte saranno le manifestazioni che si terranno da Nord a Sud per commemorare le vittime dell‘Olocausto. A settant’anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz infatti, in ogni parte d’Italia si terranno incontri, dibattiti e mostre. Tutti uniti per non dimenticare. Per capire a cosa siamo scampati, noi che quell’orrore della Seconda Guerra Mondiale non l’abbiamo vissuto. Per capire cosa non vogliamo avvenga più, noi che viviamo nella parte “fortunata” del mondo o  almeno non nel periodo storico peggiore. Noi, che siamo sicuri nelle nostre tiepide case, come direbbe Primo Levi. Noi, che abbiamo dei nonni che hanno vissuto entrambe le due guerre mondiali e che ci raccontano le loro storie. Storie che però sembrano non appartenerci. Eppure è passato così poco tempo dal terribile sterminio degli ebrei e di tutti coloro che sono morti fra il 1939 e il 1945. La guerra non ha risparmiato nessuno, men che meno chi è sopravvissuto ai campi di sterminio. Il corpo guarisce, la vita va avanti e ci trascina con sé, ma la mente e il cuore non dimenticano. Mai. E così fra  le manifestazioni che si terranno oggi, e che sono davvero tante, quella che più mi ha colpito si terrà ad Udine con la presentazioni di un libro di Charlotte Delbo intitolato  “Donne ad Auschwitz”. 

Si tratta della prima traduzione in italiano di questo racconto biografico pubblicato nel 1965. E benché la Delbo non sia un’autrice particolarmente famosa in Italia, “Donne ad Auschwitz”, rappresenta il primo esempio di “libro della memoria” in Europa. Inoltre, sempre oggi a Udine, verrà inaugurata una mostra dedicata appunto alla Delbo, figlia di emigrati italiani, coinvolta  nella Resistenza e nella lotta clandestina contro i nazisti, che venne arrestata assieme al marito, Georges Dudach, in seguito fucilato. “Donne ad Auschwitz” racconta di 229 donne francesi, non ebree, che furono deportate ad Auschwitz- Birkenau. Molte di loro facevano parte della resistenza. E molte di loro morirono a causa delle intollerabili condizioni di vita a cui erano sottoposte nei campi di sterminio. Ma 49 si salvarono e fecero ritorno. Charlotte Delbo descrive le sue compagne, ne racconta la storia, ne  narra la forza e il coraggio. E anche se si tratta di una storia di un trasporto  di deportati, l’autrice non dimentica di descrivere la vita dei lager.

“Ma se il nostro convoglio ha avuto un così alto numero di sopravvissute è perché ci conoscevamo già, è perché noi formavamo, all’interno di un grande gruppo compatto piccoli gruppi strettamente legati, è perché ci aiutavano in tutte le maniere: darsi il braccio per camminare, sorreggersi, curarsi, anche il solo parlarsi”, scrive l’autrice. Che parla di solidarietà, di speranza, di un sogno. Il sogno di uscire vive da quell’orrore. E forse il rischio più grande, dopo la morte, era quello: continuare a sognare, nonostante tutto. Credere alla vita in un posto in cui c’era solo la morte. Questo libro parla di donne che ce l’hanno fatta. Che hanno lottato fino alla fine. Quando forse sarebbe stato più semplice arrendersi e farla finita. Rinunciare. Ma la forza della vita è troppo impetuosa. Siamo fatti di carne, ma anche di fede e di speranza. Dovremmo ricordarlo sempre, non solo il 27 di gennaio. I campi di sterminio nazisti non ci sono più. E’ vero. Ma oggi esistono ben altre forme di violenza perpetrate ai danni di molti popoli di tutto il mondo. Non starò qui ad elencarle. A qualcuno ne sarà venuta in mente una, o addirittura più di una. Non serve un lager, una camera a gas, un fucile per uccidere un uomo. Basta togliergli la sua dignità e uccidere i suoi sogni.