“Chiamami sempre amore” è l’ultima performance teatrale portata in scena dalle Mamme del Festival al Marano ragazzi spot Festival.
Figlie del festival, perché sono nate dentro questa straordinaria iniziativa, – voluta da Rosario Duonno che da vent’anni fa incontrare giovani delle scuole di tutt’Italia in un progetto di legalità, inclusione, giustizia e bellezza- le Mamme hanno creato un’associazione di volontariato che condivide le finalità del Festival, impegnata non solo nell’”accudimento” degli ospiti, ma anche nella realizzazione di esperienze di Teatro di comunità con l’associazione AGITA.
“Chiamami sempre amore” è, come quelle degli anni precedenti, una performance essenziale ma di grande densità emotiva, su una scenografia minimale che le attrici riempiono di pathos con un’interpretazione che è forte perché trasferisce nell’arte il loro vissuto, la passione, il desiderio di rifare il mondo facendo teatro, accogliendo anche le parole della letteratura classica.
Ancora una volta portano in scena la maternità, tema infinito, ancestrale, e per questo rischioso. Ma vincono ogni pericolo e rischio di cadere negli stereotipi perché la raccontano nella molteplicità delle sue facce, fuori dalle tipizzazioni riduttive.
Quattro momenti in sequenza, diversi e collegati da un filo forte e problematico che ne mette in evidenza luci ed ombre. C’è la maternità che si realizza nel rapporto viscerale d’amore per il figlio o per la figlia, non solo il proprio ma anche quello dell’umanità al quale dedicare cura. Dice Antonella: “La mia felicità traspare quando guardo gli occhi di mio figlio, che si illuminano di gioia, quando mi stringe forte a sé e mi sussurra che io sono la sua essenza”. C’è la maternità che è cura di sé, conforto e sostegno al proprio desiderio di libertà, di gioia, di realizzazione. Dice Giusy: “Raggiungere degli obiettivi, piccoli o grandi che siano è la priorità che accompagna la mia vita da sempre. Ciò che mi consente di vivere e di affacciarmi a quella finestra sul mondo, mi dà la carica e l’energia per andare avanti. E quando tutto questo avviene riesco a sentirmi soddisfatta per aver salito un altro gradino in questa ripida scala che è la vita.”. C’è la maternità con i suoi lati oscuri e perfino criminali: quella delle Chiarinelle e delle capesse della camorra, spietate madri tutelari della famiglia nelle faide sanguinose che mietono le vite dei loro figli e le loro stesse vite. Il dolore della Madre si confonde e fonde con quello della Madonna o con quello di Medea, nell’eterno conflitto tra se stessa donatrice di vita e domina del vivere che ha donato. Dice Maria-Madonna : “Cosa vi aveva fatto questo mio Figlio benedetto, d’averlo così in odio, da farvi tanto canaglie con lui… ma mi cadrete nelle mani: ad uno ad uno…”. Dice Titta-Medea: “Su sciagurata mano mia, la spada, stringi la spada, e muovi a questo truce termin di vita, non essere codarda, né dei figli pensar che d’ogni cosa ti son più cari, e che li desti alla luce.”
Infine, chi sono le madri, chi sono le donne? Non danno una risposta le Mamme di Marano, ne danno mille, aperte, “perché non mi sentivo né moglie, né madre, né lavoratrice” .
Così, sul mistero aperto intonano il canto di Vecchioni “chiamami ancora amore, chiamami sempre amore”, mentre gli applausi volano e non si fermano, il pubblico le ringrazia e onora con una standing ovation. In piedi, tutte e tutti, davanti alle Madri.
Loro sono Antonella Gala, Paola De Campora, Simona Caianiello, Mariaelena Lampognana, Giorgia Leone, Maria Casolaro, Titta Pecoraro, Titti Micillo, Giusy Nebbia, Assunta Infante, Angela Giordano.
Pina Arena