Riceviamo e pubblichiamo una lettera di un ex collaboratore di giustizia, secondo il quale la mafia foggiana lo vuole fuori da un pezzo.
Della classe 1968, l’uomo nel 2006 avrebbe dovuto ammazzare il pm Giuseppe Gatti su ordine dei boss locali. Dopo alcuni pedinamenti al magistrato, decise di ripensarci e di non concretizzare il piano scellerato. Così finì dentro un programma, che lo portò ad oltre 1400 chilometri da Foggia: dal 2007 al 2013 visse, insieme alla sua famiglia, sotto la protezione dello Stato. In seguito, uscì dal programma iniziando una nuova vita con una nuova identità. Tutto questo durò finché un “banale errore burocratico” mise in chiaro le sue generalità, ed anche la residenza e il Comune di nascita.
Oggi si sente abbandonato dallo Stato e privo di quella protezione che, a suo avviso, meriterebbe per aver deciso di fare un passo indietro.
Ecco cosa scrive:
“Sono Nino Palmeras, un ex Collaboratore di Giustizia regolarmente fuori uscito dal programma, ma il Ministero degli Interni non mi aveva mai comunicato che potevo cambiare le generalità e cosi essere tranquillo con tutta la famiglia.
Fatto sta che dopo aver scontato il carcere e tornato alla vita lavorativa mi sono arrivati i primi segnali da chi avevo accusato di mafia del mio sodalizio di cui facevo parte e che nel ribellarmi per non aver ucciso un Magistrato sono stato condannato a morte dalla Mafia.
Numerosi gli episodi intimidatori. È stata inseguita mia moglie, telefonate anonime sulla rete fissa, telefonate nel condominio dove vivevo per sapere se io e la mia famiglia abitavamo lì, inseguito io stesso e sfuggito a un tentativo di sequestro di persona, quando mi fermarono a bordo di una Lancia rubata. Minacce verbali da mezzi in corsa, ritrovo di proiettili nella mia cassetta delle lettere e per finire, ultimo atto al citofono, due giorni fa quando qualcuno mi ha detto “pentito di merda, devi morire. Tutto denunciato e messo agli atti che sinceramente credo siano in un cassetto che nessuno mai andrà ad aprire per porre fine a tutto questo. E ora lo Stato mi nega il diritto a vivere.
Recandomi in prefettura e esponendo il mio problema mi venne detto che assolutamente dovevo fare denuncia alle autorità di Polizia che eravamo in pericolo di vita. Tolto questo ostacolo chi doveva tutelarci non fa che mandare al comune di nascita le mie nuove generalità e la mia residenza.
Dopo vi lascio immaginare tra minacce di morte, tentato sequestro, pallottole in buca, inseguimenti e non ultimo il 25 Aprile tentano di falciarmi con un auto sotto casa alle 06,30 che smontavo dal lavoro.
Tutto denunciato e messo a verbale ma la Magistratura e il Servizio centrale di Protezione e il Prefetto ci lasciano ancora nelle mani della Mafia”.