Nella notte il blitz antimafia nel cuore del Belice, colpisce la più recente catena di postini dei pizzini del super boss latitante Matteo Messina Denaro. La vecchia mafia in aiuto del capo di Cosa nostra trapanese
L’operazione scattata nella notte è stata denominata “Ermes“. Nella mitologia grega Ermes era il messaggero di Zeus, nella realtà odierna questo messaggero porta il nome di Vito Gondola, anziano capo della mafia di Mazara del Vallo, soprannominato Vito Coffa, un vecchio capo decina tra i pochi che erano ammessi al tavolo di Totò Riina. Gondola tra il 2011 e il 2014 è stato per la Procura antimafia di Palermo il “postino” di fiducia del super boss latitante Matteo Messina Denaro che resta un “dio”, Zeus, per i suoi complici che continuano a dire che bisogna adorarlo e rispettarlo come se lui fosse davvero una divinità. Una divinità che si porta appresso incredibili strascichi di morte, stragi, ma che oggi è il capo di quella mafia imprenditrice, che è riuscita a portare i suoi soldi fin dentro le maggiori city della finanza europea. Con forzieri che ancora non sono stati violati nascosti bene come sono tra la Svizzera, il Liechtenstein, il Belgio.
Stanotte poliziotti della Squadra Mobile di Trapani, Palermo, dello Sco, il servizio centrale operativo, e dei carabinieri del comando provinciale di Trapani e del Ros, sono andati a bussare alle porte di 11 persone, alcune già conclamati mafiosi, per l’ordine di arresto spiccato dal gip del Tribunale di Palermo giudice Maria Pino su richiesta del pool antimafia che coordinato dal procuratore aggiunto Teresa Principato si occupa della “caccia” al latitante Matteo Messina Denaro. Oltre a Vito Gondolza, mazarese, 77 anni, sono stati arrestati: Leonardo Agueci, Salemi, 28 anni, Ugo Di Leonardo, Santa Ninfa, 73 anni, Pietro e Vincenzo Giambalvo, 77 e 38 anni, padre e figlio, Sergio Giglio, Salemi, 46 anni, Michele Gucciardi, Salemi, 62 anni, Giovanni Loretta, mazarese, 43 anni,Giovanni Mattarella, Mazara, 49 anni (genero di Vito Gondola), Giovanni Domenico Scimonelli, Partanna, 48 anni, Michele Terranova, Salemi, 46 anni. Tutti con a capo Gondola farebbero parte dell’ultimo dei “cerchi magici” del pluriergastolano Matteo Messina Denaro. Un “cerchio magico” che però registra le difficoltà della consorteria mafiosa trapanese. Le disponibilità ad aiutare il latitante non sembrano essere più quelle di un tempo. E’ lo stesso Gondola a lamentarsene: “sunnu tutti scantati (spaventati) i cristiani spariscono senza dire niente“. E’ una indagine che nel 2011 è stata avviata dai “cacciatori” della Squadra Mobile di Trapani e del commissariato di Polizia di Castelvetrano, e che poi si è sviluppata con il lavoro di intelligence messo in atto dal gruppo apposto costituito per arrivare alla cattura del boss, latitante dal 1992. Nel 2011 una serie di intercettazioni svelarono ad un certo punto un attivismo in soggetti che sotricamente facevano e fanno parte della mafia. Vennero ascoltati Pietro Giambalvo e Giovanni Scimonelli parlare di Vito Gondola che si dovrebbe “accollare” una certa cosa. In poco tempo compresero che quella “certa cosa” non erano altro che i “pizzini” da e per il latitante. E Gondola tranquillo al telefono commentava, “io ho tutto tra le mani“.Il circuito postale dei pizzini che si era interrotto due anni prima dopo le retate antimafia delle due operazioni “Golem”, che avevano travolto anche i parenti più intimi del boss latitante, il fratello Salvatore e la sorella Patrizia Messina Denaro, il cognato Vincenzo Panicola,il nipote prediletto, Francesco Guttadauro, nonchè al solito insospettabili incensurati e colletti bianchi, di colpo nel 2012 riusciva a riprendere e Gondola se ne sarebbe occupato.
Vito Gondola è un personaggio che già nel 1977 compariva nei primi rapporti giudiziari, in particolare nel maxi rapporto firmato dall’allora capo della Mobile di Trapani Giuseppe Peri che restando inascoltato era riuscito a delineare i contatti tra la mafia e l’eversione di destra. Gondola allora giovanissimo era coinvolto nei sequestri eccellenti dell’epoca, quelli del banchiere leccese Luigi Mariano, dell’industriale Egidio Perfetti, del professore universitario Nicola Campisi e di Luigi Corleo suocero del potente esattore siciliano Nino Salvo. Gondola all’epoca non era un mafioso, faceva parte della banda Vannutelli che di lì a poco sarebbe stata ammessa a Cosa nostra. Gondola fece un gran carriera e adesso con la morte del capo assoluto della mafia mazarese, don Mariano Agate, ne è diventato l’erede per i pm della Procura antimafia di Palermo. Gondola è stato intercettato a dispiacersi della fine prossima di Mariano Agate, “A Mariano mischino l’abbiamo perso…u zu Mariano è finito“, e alla morte non potendo avvicinarsi ai familiari di Mariano Agate , mandò un emissario ad incontrare il figlio, Epifanio Agate, con un ordine preciso, rimasto inciso in una delle tante intercettazioni fatte dai poliziotti della Mobile di Trapani, “devi dire ad Epifanio che lui ha perduto suo padre, io ho perduto mio fratello“. In diversi mesi di indagine sono stati filmati e registrati diversi incontri, tutti in aperta campagna, talvolta sotto pali eolici, da lontano gli investigatori sulle loro tracce hanno potuto assistere a veloci passaggi di pizzini, talvolta hanno potuto anche ascoltare il rumore di fogli di carta che venivano aperti o chiusi.
Tutto questo fino al giorno in cui il clan seppe del pentimento di un uomo interno alla cosca, l’imprenditore Lorenzo Cimarosa, cugino di Matteo Messina Denaro, “minchia u curnutu…non si fanno queste cose“. Alla notizia della collaborazione del Cimarosa, i postini hanno smesso con la loro attività, addirittura l’ultimo degli incontri (26 febbraio 2014) in un posto sperduto della campagna belicina ha visto il Gondola prendere gli ultimi pizzini e farli sparire sotterrandoli. In quella occasione parlarono ancora della collaborazione di Cimarosa: “danno molto non ne dovrebbe fare..fino a che è solo non ne fa…”. Ogni volta per darsi appuntamento per scambiarsi i pizzini si sentiva Gondola al telefono parlare ovviamente di tutt’altro, “ho la sudda pronta” (la sudda non è altro che l’erba che si dà in pasto alle pecore), “ci sono le cesoie da molare”, “bisogna tosare le pecore”, “il formaggio è pronto da ritirare“, “ho attaccato lo spargi concime“, “ti ho messo la ricotta da parte, passi più tardi?“, e puntualemte i postini si ritrovavano in campagna, dando mille difficoltà a chi li seguiva per ascoltarli. L’indagine Ermes racconta della forte determinazione nella protezione del boss latitante da parte dei suoi complici, sanno che ci sono indagini in corso e che ci sono indagini che vanno avanti per la caparbietà di un pugno di investigatori intenzionati a non mollare la presa, ma loro si mostrano altrettanto uomini tutti di un pezzo: “Non è che uno si…. impressiona non deve camminare più … se dobbiamo camminare dobbiamo camminare”. “L’altra mattina a Salemi due macchine c’erano … facevano dai Cappuccini, sali e scendi … sali e scendi …siamo tutti guardati”. Il sistema postale del latitante anche con Gondola funziona così come era ai tempi di altri boss nel frattempo arrestati. I pizzini vengono mandati dal latitante in un determinato periodo, le risposte devono partire entro 15 giorni. Ecco una serie di colloqui intercettati: “A quindici giorni … oggi ne abbiamo due … uno… trentu … uno … perciò giorno 16, giorno 15 noi ci dobbiamo vedere…entro il 15 queste cose devono partire destiniamo la data per buono, il 14 va bene…alle case la dove ci sono le olive… tu a Mimmo gli fai sapere che entro il 15 … prima … no giorno 15, prima di giorno 15 si deve incontrare con lui…noialtri eravamo rimasti per giorno 10 e io là avevo scritto dal 13 al 16…entro il 15 queste cose devono partire destiniamo la data per buono, il 14 va bene… alle case la dove ci sono le olive…senti qua a me Giovanni …ma … uh … tu il graniglio quando me lo porti? ah lunedì me lo porti ? e verso che ora me lo porti il graniglio? Lunedì verso mezzogiorno? Va bene!…“tu verso le sette … sette e mezza qua sei? perché mi serviva …si! sette … sette e mezza sono lì … va bene?[…] senti qua … cosa faccio … nel pomeriggio ti porto questi cantuna?”…“sì …la rete è arrivata!”. Sono una moltitiudine le intercettazioni che dimostrano che l’attività principale del clan capeggiato da Gondola era quella di ricevere i pizzini dal latitante, smistarli e raccogliere le risposte da inviare nuovamente a Matteo Messina Denaro. “Pronto il macellaio sono, la fiorentina da ritirare è pronta...Io me lo immaginavo che c’era qualcosa in arrivo, perchè … tre giorni addietro è venuto da me … Fontana (Peppe Fontana detto Rocky, pregiuditicato e arrestato nuovamente nel corso dell’operazione antimafia denominata Eden ndr)e lo ha mandato da me Pino Ingoglia … quello venne e mi scrisse dice “Michè”, mi disse (Fontana ndr)“mi rivolgo a te per parlare con quello per uno pseudonimo…dammi un otto giorni di tempo ma perché, tu è assai che hai questo coso… con la stessa carrozza arrivaru…”.
E che si tratta di pizzini per Matteo Messina Denaro sono gli stessi che nonostante mille accortezze, come l’uso di pseudonimi, ogni tanto si lasciano sfuggire
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