Commissione parlamentare antimafia in stand-by

Faceva presagire una stagione positiva l’elezione di Piero Grasso alla Presidenza del Senato e il conferimento dell’incarico alla Giustizia di Anna Maria Cancellieri, anche se la mancata elezione di Stefano Rodotà alla Presidenza della Repubblica rappresenta un precedente significativo del clima che si respira all’interno delle segreterie di partito.

La XVI Legislatura si apriva, quindi, con la possibilità (tutt’ora valida) di un percorso che vedeva interlocutori autorevoli tra le fila del parlamento sulle inchieste condotte fino ad oggi in ordine alla commistione mafiosa della politica, soprattutto da parte di quei settori cresciuti nell’esperienza antimafia. A distanza di sette mesi però, fa discutere la mancata nomina dei 50 componenti della Commissione parlamentare antimafia e del suo nuovo presidente.

Pd e Pdl ne reclamano la presidenza e nulla sin qui sembra sbloccarsi. Un remake che si ripete dopo la difficoltosa nomina di Beppe Pisanu alla presidenza nella scorsa legislatura. In quell’occasione per arrivare a definire il nome dell’ex ministro dell’Interno ci vollero quasi sette mesi:  la legislatura iniziò il 29 aprile del 2008 e Pisanu arrivò sulla poltrona solo l’11 novembre del 2008. E proprio a distanza di sette mesi dall’inizio di questa legislatura, il Parlamento italiano è ancora orfano di una delle sue più importanti commissioni.

Dopo l’apparente sprint iniziale, che ha fatto seguito all’approvazione del 416 ter, il Parlamento italiano era riuscito prima dell’estate ad approvare all’unanimità l’istituzione della Commissione parlamentare antimafia proprio alla vigilia del  19 luglio, anniversario della strage di via D’Amelio.

Un successo! E’ la prima volta che prima dell’estate entrambi i rami dell’emiciclo riuscivano ad approvare la relativa legge.  Infatti, ad ogni inizio di legislatura un apposito ddl viene presentato alle Camere per essere approvato. Nonostante, sia alla Camera che al Senato il ddl numero 825 – che disciplina “l’Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e delle altre associazioni criminali, anche straniere” – sia stato approvato, da allora lo stesso Parlamento non è riuscito a farla insediare, rischiando di declassarla ad orpello di una maggioranza, ora possiamo dire, “distratta”.

Un fatto grave che, proprio in un momento di grave crisi economica e politica, rischia di vedere la longa manus della criminalità agire incontrastata (forte degli oltre 5 miliardi di liquidità in possesso) su un terreno fertile caratterizzato dal crescente bisogno economico di ampi strati della popolazione, dalla mancanza di lavoro e dalla difficoltà delle imprese di fatturare al netto. Una situazione che permette ai clan di conquistare pezzi sempre più significativi del nostro Paese.

Nata il 20 dicembre 1962 e successivamente trasformata in una commissione con poteri d’inchiesta e valutazione, la Commissione Parlamentare antimafia, è una delle commissioni più importanti in un paese in cui l’infiltrazione mafiosa tra i gangli della politica non sembra essersi mai attenuata. Le recenti inchieste dimostrano come sia ben più complessa l’ombra del potere mafioso sulle vicende politiche ed economiche del nostro paese a tutti i livelli amministrativi.

Si concentrano così gli appelli per dare continuità ad uno strumento che ha sempre accompagnato le Istituzione in tutti i momenti più critici del paese. La storia delle commissioni antimafia è una storia contorta che ricalca il mutamento dell’approccio della politica nei confronti delle mafie. Capitava, infatti, di vedere seduti assieme parlamentari integerrimi con altri inquisiti e tutelati da una normativa che nella sua sostanza è rimasta tale, nonostante referendum sull’immunità e disappunto della società civile. Una commissione che sulla carta dovrebbe restituire al Parlamento e quindi al potere legislativo le documentazioni necessarie ad aggiornare la normativa sul contrasto a Cosa Nostra e alle organizzazioni criminose.

In questi anni la silenziosa trasformazione di Cosa Nostra e le rigenerate cosche della ‘ndrangheta o la bomba ambientale creata dal malaffare camorrista con il business delle ecomafie in Campania non si sono arrestate, aggiornando lo stereotipo di mafie che non hanno più i connotati delle guerre di mafia del palermitano o lo scontro fra clan o cosche calabresi.

 “Non c’è più tempo da perdere. I partiti evitino la retorica antimafiosa e smettano di nascondersi dietro simboli e simulacri. Le vittime innocenti della mafie e tutti i cittadini e le cittadine di questo Paese meritano di più. Attivino piuttosto subito la Commissione parlamentare antimafia indicando presto un’agenda di lavori urgenti da compiere, di inchieste da svolgere” scrive l’associazione romana ‘DaSud’ nella petizione pubblicata in queste ore online per chiedere immediatamente l’insediamento della commissione antimafia.

Capita così a fine agosto di evitare per un soffio la vendita all’asta della tenuta di Suvignano, in Toscana, continuando nei fatti ad aggirare leggi come quella Rognoni-La Torre che del contrasto alla mafia è stata uno dei provvedimenti storici da parte del legislatore.

 “Male, malissimo” dice Lucrezia Ricchiuti senatrice del Partito Democratico e vicesindaco di Desio, città lombarda dove come amministratore locale aveva denunciato la presenza della ’ndrangheta, in particolare riguardo cave e discariche abusive. “Mentre si parla di Berlusconi” ha avuto modo di scrivere anche sul proprio profilo Facebook “ci sono amministratori locali che rischiano per la loro incolumità, un’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle mafie che dovrebbe avere un consiglio direttivo di cinque persone e invece ne conta solo tre, e i due che mancano dovrebbero essere quelli esperti in materia di gestioni aziendali e patrimoniali”.

Sul tema delle minacce e del rischio che corrono gli amministratori locali la stessa Ricchiuti, con la senatrice calabrese Doris Lo Moro, ha presentato una proposta per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, un fenomeno tornato sui quotidiani dopo l’uccisione di Laura Prati, primo cittadino di Cardano al Campo (Va), ma con cui da Sud a Nord tanti politici locali hanno dovuto e devono fare i conti, non ultimi i sindaci di Benestare e Monasterace, Rosario Rocca e Maria Carmela Lanzetta a rappresentanza dei 106 amministratori calabresi minacciati nel corso del 2012.

Dopo innumerevoli relazioni di maggioranza e di minoranza dal 1962 a oggi c’è da chiedersi se uno strumento di indagine utile allo Stato come la Commissione parlamentare antimafia non debba evolversi ulteriormente. A dare una risposta a questa considerazione ci pensa Giancarlo Caselli, oggi Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, che suggerisce come  sarebbe arrivato il tempo di affidarsi all’Istituzione di una Commissione antimafia europea.

Tocca ai presidenti di Camera e Senato, quindi, convocare la seduta comune per eleggere il presidente della nuova commissione antimafia. E proprio in queste ore, l’ex procuratore nazionale antimafia Grasso raccontano fonti della Camera, avrebbe telefonato alla presidente di Montecitorio Laura Boldrini per dire che se i gruppi avessero continuato a non fornire i nomi per costituire la commissione d’inchiesta contro la mafia, i componenti li avrebbe nominati lui.

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