Di Tonino Cafeo
Come sono stati gli anni settanta nelle piccole città del sud? Ne I Cento Passi di Marco Tullio Giordana c’è una sequenza che da sola riassume efficacemente la condizione dei ragazzi e delle ragazze che volevano cambiare il mondo partendo dai suoi margini. Il giovane Peppino nella sala da pranzo di famiglia guarda in tv le immagini in bianco e nero del maggio francese ma invece di inseguire lontano sogni romantici di ribellione, è capace di guardarsi intorno e provare a cambiare la propria quotidianità. Una scommessa dalla posta alta che in pochi possono dire di aver vinto davvero.
Anche Giovanni e Aurora- i due protagonisti de Gli Anni al contrario, primo romanzo della messinese Nadia Terranova (Einaudi 2015) – si muovono nel teatro angusto di una città del sud che non è Cinisi ma Messina negli anni fra l’affaire Moro e il riflusso, e non si limitano a sognare un altrove seduti per terra nel tinello di casa ma cercano di gettare sguardo e corpo oltre i confini tracciati dalle rispettive genealogie e dal contesto sociale. Lui figlio di un avvocato di provincia iscritto al PCI, lei del fascistissimo direttore del locale penitenziario, si incontrano all’università e, mentre la maggior parte dei coetanei sembrano limitarsi ad una semplice adesione a costumi e idee di tendenza ( “capelloni, femministe, contestatori dall’aria intellettuale o semplici cialtroni alla moda”), ingaggiano un serrato corpo a corpo con le rispettive famiglie e i progetti a cui entrambi sembrano destinati, alla ricerca di un mondo che fosse all’altezza delle proprie aspirazioni.
Giungono nella Bologna ancora fiammeggiante del Movimento del 77, ospiti di un fuorisede dalle idee a suo modo chiare, e sfiorano appena il mitico convegno contro la repressione. Ma è il canto del cigno degli anni “formidabili” e i Fuochi di guerriglia che si dovrebbero appiccare, presto lasciano il posto a una spessa coltre di cenere. La rivoluzione non si fa più e neanche l’amore basta a Giovanni e Aurora per elaborarne il lutto. E’ tardi per combattere ed è tardi anche per ritrovarsi come coppia e come famiglia. La lotta armata a Messina si risolve in un’ avventura dal sapore picaresco ma l’eroina e poi l’aids scherzano poco e fanno il resto. Neanche Mara, la picciridda che i due hanno avuto, dagli occhi grandi e inquietanti “più di quelli di mafiosi e assassini”, riesce a tenerli insieme e la ritrovata routine di Aurora, fra scuola, università e una bambina che cresce, fa da contrappunto alla discesa agli inferi di Giovanni, che continua a sognare da solo fra piazze svuotate, comunità di recupero e ospedali.
Negli Anni al contrario la Storia più che farsi sentire dall’esterno dalle pareti di casa, come nei film di Ettore Scola, sembra proprio scorrere fuori sincrono rispetto alle vite dei protagonisti. Aurora e Giovanni non fanno in tempo a dire “aspettateci, ci siamo anche noi” che il sogno collettivo di un’altra vita possibile – comunque sempre maledettamente lontano, come il cielo stellato della prima vacanza a Stromboli fatta dai due innamorati- si trasforma nel suo rovescio. Resta, come a mantenere la promessa di una “sofferta fiducia” nelle cose della vita, lo sguardo di chi viene dopo, il Lessico Familiare di quella bambina che -si scopre nelle pagine finali del romanzo- “ha la certezza che se la caverà perché se l’è già cavata”, perché ha avuto il coraggio di narrare la sua storia e di resistere agli anni grigi del post tutto continuando a raccontare.