«La vittima crede in Dio e se giura dice la verità»
La prima sezione penale del Tribunale di Messina ha condannato il presunto rapinatore a 7 anni e 7 mesi basandosi solo sul giuramento della vittima
Un’anziana costretta a salire in macchina e rapinata. La difficoltà di individuare gli autori del reato. Fino alla soluzione trovata dai giudici: puntare tutto sulla profonda fede cristiana della vittima, garanzia indubitabile della sua attendibilità. È in virtù di questo principio che la prima sezione penale del Tribunale di Messina ha stabilito la condanna del presunto rapinatore a 7 anni e 7 mesi di carcere.
Nelle scorse settimane difensore di quest’ultima, Bonaventura Candido, ha presentato ricorso in appello, e ha segnalato l’inusuale rilievo attribuito dalla sentenza di primo grado alle convinzioni religiose dell’anziana rapinata. Una fede che il collegio presieduto da Silvana Grasso ha ritenuto potesse giustificare le contraddizioni dell’impianto probatorio. All’atto di sporgere denuncia infatti la donna non aveva riconosciuto il presunto rapinatore. Ma, come si legge nella sentenza, «non può escludersi che, pur avendolo riconosciuto, proprio per spirito cristiano, essendo profondamente credente, non l’abbia spontaneamente denunciato».
E come giustificare allora che, richiamata in Procura, la vittima individuava infine nell’indagato uno dei due responsabili? I giudici risolvono così: «La donna, posta innanzi all’alternativa di dire la verità, ( e di non commettere oltre che reato anche peccato per violazione dell’ottavo comandamento) decideva di collaborare», riconoscendo appunto il presunto colpevole.
Nella pronuncia dei giudici di Messina c’è un dato ritenuto decisivo: in dibattimento l’anziana rapinata ha iniziato così: «Dico la verità, se no u signuri mi castiga ». Un fatto che di giuridico, secondo il difensore, non ha nulla.