Sconfitto. Così mi sono sentito. Non è bello quando credi di tornare a casa con il materiale per un buon articolo e ti trovi così. Sconfitto. E’ così forte la mafia? Da uccidere anche la speranza? Il dubbio è durato parecchio, lo ammetto. A cosa serve combattere, a cosa serve arrabbiarsi se non riusciamo a digrignare i denti? A gridare? A cosa serve schierarci contro la mafia se poi non riusciamo nemmeno a balbettare davanti a un registratore che la mafia ci fa schifo! Fa schifo! Schifo fa! Fa proprio schifo. Ho un senso di vomito. E “piazze importanti”, “bassi profili”. Questo mi è stato detto. E io fissavo, incredulo, come mi avessero trasportato magicamente in un mondo che non credevo esistere. In una realtà che, molto ingenuamente, credevo morta da tempo. Chi viene e va non la vede, non la percepisce. Chi qua ci vive si è abituato, l’ha inglobata perfettamente nella sua vita, e nemmeno sente più quell’insopportabile ticchettio che la regola, ogni minuto, ogni secondo. Puntati come sveglie ci alziamo la mattina e viviamo le nostre piccole giornate ignari. E la mafia c’è. Scruta ogni nostro passo, conta ogni minuto, calcola ogni centesimo. E noi continuiamo a campare fingendo di non vedere. La mafia è lontana, così dicono. Magari ci credono pure! Esito a crederlo. Tutti sanno, tutti. Sappiamo e tacciamo. O peggio, sappiamo e accettiamo. E spariamo cazzate, un’infinità! Però ora basta. Smettiamola di dire che la mafia è un fenomeno sociale, cazzo! La mafia è un organizzazione, è un’associazione a delinquere! La mafia è un’azienda di schiavitù e morte! La mafia può fallire! Deve! Ma noi dobbiamo volerlo! Noi dobbiamo ucciderla! Con i fatti, ma anche con le parole. Le parole, perché abbiamo paura delle parole? Quando Peppino Impastato parlava da una radio era solo. Oggi sarebbe solo uguale. Quando Libero Grassi denunciava era solo. Oggi sono in tanti. Ma di quei tanti chi ha il coraggio di parlare? Quanti? Chi ha il coraggio di gridare? Pochi. A cosa serve se chi non denuncia ha paura e chi denuncia ha paura uguale? O meglio, a cosa serve denunciare se la tua rabbia non è superiore alla tua paura? Chi denuncia ma non parla fa un torto alla mafia, protegge i propri guadagni e danneggia i loro. Chi denuncia e non parla fa un torto alla mafia, ma non la ammazza. E’ una sorta di zona di grigia, dove si decide di combattere la mafia, ma non si vuole far sapere in giro, perché altrimenti! Ma qualcuno aldilà delle palizzate c’è! Qualcuno che non si accontenta, qualcuno che l’ammazza sta mafia! Perché non ha paura di dirlo. Le associazioni antiracket ammazzano la mafia ogni giorno, Addiopizzo la ammazza, le Agende Rosse la ammazzano. Chi crea nuovi spazi di socialità libera (si, libera!) ammazza la mafia. Chi racconta, chi parla! Chi vuole fare chiarezza, chi non si ferma alle mezze verità a cui troppo spesso ci hanno abituato! La mafia la ammazza chi si indigna quando vede le commemorazioni dei caduti trasformarsi in parate per facce da palcoscenico! Chi sa ancora votare per quello in cui crede, aldilà delle promesse, dei cellulari e dei pacchi di pasta (questa è Palermo)! Chi denuncia e parla, e vuole far sapere al mondo la sua storia! Perché la vicenda di ognuno sia la lotta di civiltà di tutti. Oggi la mafia non ammazza più, si dice. E invece no, ammazza. Punta la lupara contro la memoria, contro la libertà, contro la dignità. E non sbaglia un colpo. I giorni della rabbia sono durati troppo poco. Il cordoglio era mischiato alla collera in un impasto che pareva poter distruggere la mafia, annientarla per sempre. E oggi cos’è rimasto? Cos’è rimasto delle suppliche di Rosaria Schifani? Delle spinte alla polizia per partecipare ai funerali di una regione, di uno Stato, di un popolo? Cosa delle urla, delle accuse ai politici? E dei lenzuoli appesi? Delle lacrime insanguinate di chi aveva sperato cos’è rimasto? Niente. Solo il sudore dei ragazzi di Libera Terra, di fronte a uno Stato che oggi riconsegna i terreni confiscati col sangue di Pio La Torre ai loro illegittimi proprietari. E noi guardiamo. Se uno grida è una reazione esagerata, perché non ne vale la pena. Alla gente piace dire che le cose sono immutabili, così non sarà davvero costretta a cambiarle. Io ho 19 anni, e ho paura. Ho paura che quando ne avrò 30 smetterò di lottare, quando ne avrò 40 smetterò di indignarmi e quando ne avrò 50 inizierò a giustificare. E temo le persone, non la mafia. Temo la loro incapacità a guardare a viso alto la realtà, temo il revisionismo, il giustificazionismo. Temo chi si nasconde dietro il culto di Falcone e Borsellino per sentirsi la coscienza in ordine. Falcone e Borsellino non sono eroi! Loro non avrebbero voluto esserlo! Dire che sono eroi ci serve a distinguerli dalla popolazione, ad elevarli ad un livello sovraumano. Se chi combatte la mafia è un eroe, un essere eccezionale, fuori dal comune, chi non si muove è solo una persona normale, che non fa né più né meno del suo dovere. Ci servivano morti Falcone e Borsellino, e Chinnici, Morvillo, Livatino, Cassarà, Torre, Impastato, Grassi, Spampinato, Schifani, Puglisi, Rizzotto, Alfano, Ambrosoli, Dalla Chiesa, Fava, e le centinaia di altri individui che ora dimentico. Eroi! Eroi! Eroi! Loro eroi e noi persone normali! Eroi e cittadini comuni! Eroi e noi. E se non fossero eroi? Se fossero persone normali come noi, cittadini comuni? Se lo fossero, beh, noi cosa saremmo? Forse non saremmo proprio cittadini. Forse saremmo vermi. Ma loro sono eroi e noi siamo tranquilli nella nostra apatia. I siciliani oggi non si possono più accontentare di essere cittadini a metà, figli bastardi di Stato e mafia. Figli di una terra che crepa sotto i loro corpi indifferenti, che frana inesorabilmente sotto il peso del clientelismo, del ricatto, dell’ignoranza. Oggi i siciliani devono chiedersi chi sono e cosa vogliono. E cosa non vogliono. La mafia, per esempio. Oggi come non mai mi risuonano in mente le parole del giudice Caponnetto, pronunciate in uno stato di profondo sconforto, dopo la strage di via D’Amelio.«E’ tutto finito. E’ tutto finito». La mafia è così forte? E’ forte da uccidere la speranza? No! Nonostante tutto.
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