Due giornate ricche di spunti e riflessioni all’università di Messina, per parlare di inquinamento e del principio “Chi inquina paga”. Il convegno internazionale articolato in due giornate ha schiuso momenti di riflessione e dibattito e ha chiarito questioni che necessitano di un confronto con le normative europee e non solo. Tra gli interventi internazionali interessanti quello di Pedro Carballo Armas Università di Las Palmas, che ha sottolineato come sia difficile stabilire il principio del “chi inquina paga” anche se esistono dei casi presentati alla corte europea che fanno capire quali sono i metodi di intervento: ”Negli anni settanta sì è fatta avanti l’esigenza di tutelare l’ambiente e ha cominciato ad affacciarsi un concetto che parla per la prima volta di “qualità della vita”che si è unito all’idea dello” sviluppo sostenibile”. Il diritto dell’unione europea però deve essere accompagnato dal diritto all’informazione. I beni giuridici che si possono utilizzare presuppongono il diritto alla vita rispetto a danni che sono provocati dall’ambiente, anche se in fase probatoria è sempre difficile stabilire i rapporti di causa e effetto, come nel caso in cui una persona affetta da leucemia ha citato un’altra, sostenendo che la malattia derivava da scorie radioattive. Altro bene giuridico è il diritto alla vita privata e all’inviolabilità del domicilio testimoniato da un caso successo in Spagna nel 2010 in cui una famiglia ha denunciato una discoteca sita sotto la propria abitazione turbando la propria quiete. La Corte costituzione ovviamente può decidere poi di far riparare al danno con un compenso economico. Il professore Carlos I. Salvadores de Arzuaga invece ha chiarito le problematiche ambientali che esistono in Argentina. Il diritto alla protezione dell’ambiente viene inserito nella Costituzione nel 1994 con una clausola specifica. L’art. 41 sancisce il diritto a un ambiente sano, equilibrato, mantenuto e preservato nella sua integrità. Il danno ambientale genera l’obbligo di riportare (“recomponer”) la zona allo stato precendente all’azione inquinante. C’è però un problema di competenza: a chi spetta farlo, allo Stato o alle Province? La dottrina, dopo un lungo dibattito, ha stabilito che allo Stato spetta la decisione riguardo ai presupposti e alle Province la loro attuazione. Dunque il responsabile dell’inquinamento lo è anche del ripristino, mentre prima del 1994 era punito con la sola multa, non necessariamente calibrata rispetto al danno causato e raramente si applicava il principio del “chi inquina paga”. Un secondo profilo di dibattito è cosa si intende per “recomponer”: ricomporre, riparare, restituire sono sinonimi ma sono anche concetti diversi. Dunque, a seconda del caso specifico, “recomponer” può corrispondere a uno piuttosto che all’altro termine. Un caso molto famoso in Argentina riguarda il rio Achueno dove tre milioni di persone in estrema povertà vivono lungo questo fiume, che non trasporta acqua ma liquido nero, causando malformazioni e tumori Nel 2006 è stato istituito l’ente pubblico per il suo recupero, ma serve un accordo a tre (Stato, e le due province che il fiume attraversa) per renderlo operativo. Solo 1400 delle oltre 5mila imprese che scaricano i loro reflui nel fiume hanno iniziato ad oggi i lavori per la messa in sicurezza”. Nel pomeriggio di particolare spessore gli interventi di G. Noviello e M. Contini. Moderati dal procuratore aggiunto di Palmi Emanuele Crescenti, che nell’introdurli ha sottolineato una realtà spesso trascurata: ” in una società che rispetti l’ambiente basterebbero un buon sindaco e un buon vigile urbano perché la magistratura non può supplire ai compiti che sono tipici della politica”. La mancata legislazione è un’occasione sprecata secondo Noviello. “Spesso la magistratura interviene con il sequestro di un’impresa, ma il livello occupazionale viene usato come un’arma di ricatto”. Contini infine ha concluso le relazioni con un problema che popola le cronache giornalistiche ovvero l’uso della spazzatura da parte della criminalità organizzata per trarre profitti: “C’ è una mafia –ha tuonato-che tende a inserirsi in maniera più sotterranea, infiltrandosi nel tessuto economico. Non abbiamo una filiera per i rifiuti e ovviamente quando si opera in assoluta emergenza senza gare d’appalto la mafia è avvantaggiata. Ci si improvvisa gestori dei rifiuti senza competizione tecnica”. Claudia Benassai