Di nuovo al Capranica, l’unica sala, in zona Montecitorio, che contenga tanti Grandi Elettori quanto ne ha il Pd. È la terza volta in tre giorni che ci convocano lì. Sempre all’ultimo minuto e per sms. Il partito che bene o male (male) aveva conquistato il premio di maggioranza alla Camera, e comunque più Senatori dei concorrenti. Quello che sentiva il dovere di proporre, lui agli altri, in nome del Presidente della Repubblica. Di scegliere tra linee politiche tutt’affatto diverse : accordo con Berlusconi per Marini, splendido isolamento, con Romano Prodi. Ora non può pretendere più nulla. Partito mai nato, da una freddissima fusione delle sinistre Dc con i sopravvissuti del PCI. Oggi, un partito sepolto da veti incrociati, da sfiducia e sospetti, e dall’irresponsabilità del suo gruppo dirigente allargato.
Si vede bene quanto Bersani tenga alla sua dignità. In piedi, a dar conto del suo disastro, sembra Aiace a cui non resta che morire con l’arma nel pugno. “Uno su quattro ha tradito. Non posso accettarlo. Ecco le mie dimissioni”. Il capitano non abbandona la nave. Con Zanda e Speranza, consulterà le forze politiche. Sopporterà battute arroganti e, peggio, sorrisi di compassione, fino alle elezione del Presidente della Repubblica. “Non un minuto dopo”.Non c’è altro da dire, tutte le parole sono consumate. Il segretario lascia il Capranica, e senatori e deputati non credono a quel che sta succedendo. Un gruppo di donne occupa il palco : prendiamoci l’assemblea. No, questa volta meglio non parlare. Cosa c’è da dire?Poche ore prima, nello stesso cinema, sono le 9. Quando Bersani pronuncia quel nome, Romano Prodi, l’assemblea applaude. Tutti in piedi. Votiamo comunque, aveva azzardato il timido Zanda. Sì, ma pro forma, per alzata di mano. E tutte le mani si erano levate. Unanimità, orgoglio di partito, nel nome del Fondatore richiamato dal Mali come una bandiera.
Ho trascorso l’intera giornata del 19 a leggere, e a rispondere, alle centinaia di messaggi, messaggi di amici, sostenitori, conoscenti, che mi chiedevano : perché no Rodotà. Già, perché no? A me, a molti in questa sala, sembrava e sembra il nostro candidato ideale. Ma Bersani quel nome non lo ha mai pronunciato. Sembra che non l’abbia inteso, Stefano Rodotà : non pervenuto! E tuttavia votare Prodi significa dire addio all’inciucio, Prodi riunisce il partito ferito. Alla “quarta” scrivo Romano Prodi. Lo vota SEL, ma segnando la scheda, con un R.Prodi, per evitare che correnti interne al Pd non attribuiscano poi all’alleato le frecce con cui hanno trafitto Romano. Quale sfiducia, giustificata! Lo votano tutti (credo tutto) quelli che, come me, hanno contestato a viso aperto il pasticcio commesso con la candidatura Marini. Quel confondere “unità della nazione” e “baratto con Berlusconi”, quel subire i veti del Caimano “mai Prodi” , “Mattarella, inaffidabile perchè fu contro di noi al tempo della Mammì (legge sulle televisioni)”. Ma ora è diverso, il Pd ritrovarsi nel passato per muovere passi più coraggiosi verso un futuro incerto. Noi votiamo Prodi. Ma altri cento, no. Uno su quattro, i traditori.
Chi sono? Non voglio saperlo. Cercargli sarebbe dargli importanza. Sono loro i veri “miserabili”, parola inappropriata scoppiata nella bocca della Finocchiaro contro Matteo Renzi. Il quale ora giura : noi no! Non fino a questo per affondare Bersani. Per aprire la strada alle elezioni, sulle rovine di quello che fu il partito democratico.
Non conosco i traditori, non li voglio guardare in faccia. Questo io so. Che la responsabilità del disastro é di Pierluigi Bersani, del leader che mi ha convinto ad accettare il ruolo di capolista per un partito in cui non avevo mai creduto. Che tante volte avevo criticato. Bersani che raccoglie la sfida di Renzi e manda in frantumi il patto di sindacato tra le correnti, ex Margherita ed ex Ds. Bersani che confina nelle soffitte democratiche padri fondatori e capi bastone. Non gliel’hanno perdonata! Aveva rinnovato come mai prima i gruppi parlamentari e introdotto la parità di genere, tante donne quanti uomini. Ma poi si era fermato, stanco. Paura dell’ignoto? Responsabilità, tutta emiliana, verso i fratelli maggiori a cui aveva rubato il gioco? Chissà.
Una campagna elettorale gestita in solitaria simbiosi con un gruppo di fedeli, troppo sicuri di sé dopo “il miracolo delle primarie”. Una sconfitta che lascia sopravvivere la speranza, o forse il sogno, di formare un governo, di minoranza ma per “il cambiamento”. Poi il muro di gomma di Napolitano. Bersani “il concreto” diventa “l’ostinato” Bersani. Il leader ambizioso che tiene in ostaggio il paese. Sempre più solo. Non fa discutere i gruppi parlamentari. Incarica Zanda e Speranza, di consultare in confessionale chi dovrà votare per il Presidente. Tu che gli hai detto? E tu? Intanto Tornano nella bocca del segretario e del suo vice, Letta, parole antiche. Ma i segni si ribellano, i significati cambiano : “nostra la responsabilità di indicare il ll persistente”, “larghe intese”, “condivisione”. Per inseguire il fantasma di un governo per il cambiamento, Bersani si era fatto sbeffeggiare dalla Lombardi, per condividere un nome per il Colle, neppure una telefonata a quel galantuomo che risponde al nome di Stefano Rodotà. Che al Pd non ha chiesto niente e ha dato molto.
E ora? Bianca, no. Torniamo a votare Rodotà! È quello che molti elettori ci chiedono. Ma subito dopo ogni fumata nera, riuniamo i gruppi e votiamo su ogni novità che dovesse intervenire. Proposta da altri, perché noi abbiamo perso il diritto di brucare un terzo candidato. Chiediamo intanto, senza neppure aspettare l’elezione del Presidente, ai Circoli Democratici di riunirsi Convochiamo le assemblee di chi ha votato per le primarie (gli elenchi ci sono). Riunionin dei gruppi parlamentari e consiliari, degli amministratori locali, dei democratici che lavorano nel sindacato. A ciascuno e a tutti chiediamo di pronunciarsi su quattro che dividono e che dovranno unire : noi e l’Europa, noi e il finanziamento pubblico, noi e il PDL, noi e il Movimento 5 stelle.
Molto più di un semplice congresso, aperto alla coalizione “Italia bene comune”, se ancora è in campo. Non proprio un congresso. Ogni struttura si scelga un porta voce. L’elezione dei gruppi dirigenti dovrà essere a un secondo tempo, quando sarà più chiaro il perimetro del partito. Da salvare o rifondare. Questo pensa uno che ha meno diritto di altri a dire la sua. Ma il silenzio sarebbe vile