Cronaca di un sogno sprecato

San Martino. Il borgo sorge non troppo lontano dal centro di Spadafora in provincia di Messina. Il nostro viaggio inizia per documentare uno spreco ma finisce per restituire una realtà fatta di omertà, disinteresse e incuria verso il bene pubblico.

Per capire bisogna fare un passo indietro, quando un medico del luogo, Francesco Pino, non avendo eredi lascia le sue proprietà al comune. In un terreno assai vasto viene edificato uno stabile che doveva ospitare gli anziani del posto e non. Una casa di cura insomma, che per il posto in cui sorge poteva assicurare sicuramente a tantissime persone un luogo sicuro e tranquillo dove trascorrere la vecchiaia. In trent’anni però il tempo, gli atti di vandalismo e l’inefficienza della classe politica hanno restituito un posto che non serve più a nessuno se non ai cani. Infatti, basta fare un sopralluogo per trovare tanti amici a quattro zampe nel grosso stabile vuoto. Ma degli anziani neanche l’ombra.

A quasi trent’anni dalla sua costruzione, quella che doveva essere la casa di cura di San Martino è diventata una cattedrale nel deserto: due piani, un edificio grandissimo con un giardino attorno, con le porte divelte, finestre cui mancano i serramenti e deiezioni di cani sul pavimento.

Alle 9:55, constatata la situazione di degrado e l’impossibilità di entrare nello stabile senza correre rischi, chiamiamo il 112 che, come da protocollo, avvisa i Carabinieri della stazione locale e la Polizia Municipale. Quello che accade successivamente ha dell’incredibile: alle 10:30 una volante dei Carabinieri arriva sul luogo. I due militari dell’Arma ci chiedono i documenti e ci identificano. Noi li avvisiamo che avremmo chiesto spiegazioni sulla storia della casa di cura di San Martino al Comune. Poco dopo che i Carabinieri ci lasciano, dicendoci che i vigili urbani non sarebbero intervenuti perché avevano comunicato di essere senza benzina,  abbiamo un interessante incontro con una signora – che si presenta come consigliere comunale di Venetico – giunta sul posto per rifocillare gli animali a quattro zampe. La donna, con un tono misto tra lo stizzito e l’acceso, ci chiede il motivo della nostra visita. Lei, infatti, animalista convinta,  trova più naturale che i cani stiano lì, perché in fondo nessuno in questi lunghi anni ha portato avanti l’idea di inaugurare la struttura.

Sostiene anche che la stessa amministrazione comunale l’ha più volte invitata ad intervenire sul problema del randagismo. Quindi, a quanto pare, si era creato un accordo silente, verbale e non scritto tra le parti in maniera  ufficiosa, tanto che i 20 cani prima tenuti a Giammoro,- come ci dice la consigliera Caterina Rundo che finalmente si presenta-hanno trovato da un mese una nuova sistemazione. L’incontro con la donna si chiude con una domanda che fa capire molti retroscena: “Come mai ora che abbiamo portato i cani è tornato l’interesse, mentre prima che la gente veniva con i camion a rubare tutto, nessuno si interessava?”. Diciamo alla consigliera che saremmo andati al Comune a parlarne con il sindaco, e lei si offre di accompagnarci. Arrivati davanti alla chiesa di Saponara, però, la donna si eclissa. Al suo posto, ad aspettarci nell’ufficio del sindaco insieme al capo dei Vigili urbani, a un signore che non si presenta e a un altro che ci dice di essere avvocato, troviamo invece la presidente dell’associazione per la cura dei cani “Mille zampe”.

Arrivati in Comune alle 11:40 attendiamo il sindaco per 15 minuti finché impiegati piuttosto sconcertati e seccati dalla nostra presenza ci “invitano” ad entrare. Il primo cittadino Giuseppe Pappalardo ci dice che non conosce le persone che danno da mangiare ai cani, anche se un’associazione ha presentato una richiesta per trovare una casa agli animali. Però proprio alle 11.45, mentre noi aspettavamo che il sindaco si palesasse, veniva stilato un protocollo (3058) che di fatto sembra prendere atto della situazione, legalizzandola per 30 giorni. Il paradosso di una struttura nata per accogliere degli anziani e diventata proprietà di un branco di venti cani, però, resta irrisolto. Il protocollo, infatti, prevede che la destinazione d’uso dell’edificio, senza autorizzazioni né da parte dell’Asp, né da parte del comando dei Vigili urbani, venga cambiata di punto in bianco. Il sindaco e l’amministrazione comunale, in sostanza, si sono lavati le mani senza neanche cercare di preservare l’edificio dall’usura che gli animali necessariamente provocheranno, e hanno già provocato, ad esempio sbarrando le porte di ingresso allo stabile e lasciando il solo giardino per il canile.

Non si tratta solo di uno spreco di denaro pubblico. Si tratta di un’offesa alle ultime volontà del signor Francesco Pino, che aveva donato il terreno in funzione del servizio da garantire agli anziani. Ma dopo quasi trent’anni di abbandono e disinteresse da parte degli amministratori locali, guarda caso proprio quando è il nostro giornale ad occuparsi della vicenda, negli stessi minuti in cui i  funzionari comunali ci avvertivano che il sindaco ancora non era approdato in comune, veniva posta una pezza pasticciata al problema. Svista o puro tatticismo? La domanda sorge spontanea. Ad ogni modo la parte più saliente del documento recita così: “L’associazione si obbliga ad adottare le opportune cautele atte a garantire la pubblica incolumità restando sempre e comunque a carico della medesima associazione ogni responsabilità civile e penale verso terzi nell’eventualità si verificassero incidenti”. Per il sindaco questo è un passo in avanti per scoraggiare atti di vandalismo e per preservare la struttura o quel che ne resta.

Ma le sorprese non si esauriscono subito, e si rinnovano quando Giovanni Pappalardo ci confida che qualche tempo fa, un privato, il professore Giuseppe Trimarchi aveva provato a ridare utilità all’edificio, proponendo l’idea di dar vita a un centro di riabilitazione, cercando ovviamente qualche punto d’incontro con la regione e con l’ex giunta capeggiata da Raffaele Lombardo. Le proposte però sono rimaste proposte e da palazzo d’Orleans non è mai giunta nessuna risposta. Il professore Trimarchi è sconsolato e arrabbiato: “E’ incredibile che una struttura nata per gli esseri umani finisca a ospitare cani”. Insomma, da oggi i cani avranno un tetto. Gli anziani no.

 Altro elemento che non rincuora infine è l’impasse amministrativa che anche quando le risorse sono ereditate, non sono valorizzate ma possono tranquillamente diventare scenario di una sit com: “Venti cani sotto un tetto”. 

{vimeo}61672746{/vimeo}