Da Greta a Carola, tutti i reati del sesso debole

Sessismo, misoginia e
“messa a posto”: le donne che emergono nella sfera pubblica ree di
avere i capezzoli.  

“Non concedo a
nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia
in atteggiamento tranquillo”.  No. Non
è il viceministro, è l’attualissima prima lettera a Timoteo.

La sfera pubblica è
maschile. La ragione è uomo. Il “resto” va tenuto a bada e riportato in una dimensione privata da sempre luogo delle
attività femminili. Come? Con la sempreverde mortificazione.

Che tu sia la “piccola
attivista ambientalista, racchia, saccente, porta sfiga”, o “la zecca
pirata viziata, vagabonda, senza reggiseno”, o ancora una di quelle “giocatrici
di cattivo calcio, clitoridi calienti in cerca di falli” sei una senza
nome. Non serve. La tua nomea ti precede e te la sei creata e cercata.

Da essere umano di
genere femminile, indipendentemente da ogni altra specifica, non puoi pensare
di essere trattata al pari di un tuo alter ego maschile, soprattutto quando si
avviano i processi di delegittimazione, che per la tua specie seguono percorsi
differenti. Uscire dalla sfera domestica equivale ad andare in giro in abiti
succinti: se ti stuprano te la sei cercata. Il tuo prendere posizione è una
provocazione e va trattata come tale.

Certo è tuo diritto (per
adesso) partecipare alla cosa pubblica ma nei limiti della decenza e con
pudore. Con “atteggiamento tranquillo”, insomma.

Figurarsi se provi a
far riflettere tutto il mondo sulla necessità di una nuova coscienza ecologista
(picciridda e malaticcia come sei) o se comandando una nave (quando mai le
donne comandano navi?) disubbidisci alla logica sovranista (sdoganata da un
uomo) per salvare vite umane.

E quale migliore
strategia se non quella di attaccarti semplicemente
per quello che sei
e che da sempre è definito ” debole”?

La sfera pubblica si
tinge di viola. Steven Spielberg nel suo “The Color Purple”, film del
1985 che racconta la violenza sulle donne attraverso il calvario della
protagonista Celie, ci diede una lezione violenta e magistrale in un semplice
dialogo che inizia così:


Sei brutta, sei povera, sei negra,
sei una donna: non sei niente di niente! 
[…] 

Magari oggi sei zecca, sei
ricca, sei straniera… ma sei sempre una donna: non sei niente di niente!  Fai anche l’errore più banale di dare modo di
credere di esserti presentata davanti a dei magistrati con la sola maglia a
coprirti le tette. E il reggiseno? Scandaloso! Quasi come allattare in
pubblico.

Quegli organi
ghiandolari che nelle femmine di mammifero secernono latte (pectus) e quelle
rotondità adipose sovrastanti i muscoli glutei (culus), cara “straniera”,
servono solo a rimbecillire le masse davanti alla tv e ai social e a regalare la
convinzione che siano merci a uso e consumo dello spettatore ovunque e in
qualsiasi momento anche senza il consenso della persona in “oggetto”.

Non sono qualcosa di
tuo, che puoi gestire senza pensare di indispettire gli altri. Hai almeno
chiesto il permesso? Quali erano le tue intenzioni? Vergognoso! Bisogna
riportarlo e sbattere te e le tue tette coperte da maglia nera in prima pagina,
richiamare l’orda degli indaffaratissimi haters che ti giudicheranno indomabili,
torneranno ad augurarti lo stupro mentre
ti vìolano mediaticamente
, per svilire la tua persona, per evitare di
parlare di quelle quattro ore in cui hai esposto le tue ragioni. Per evitare che
ad avere risonanza siano le parole del tuo avvocato “Carola è libera, farà quel che crede!”

Occultamento dei fatti e
svilimento della ragione tramite delegittimazione aggravata dal metodo misogino
(e spesso ahinoi perpetrato a mezzo di altra persona donna). Non esiste un
reato del genere. Peccato!

In ogni caso il
dibattito (cui la tua specie non è detto che partecipi) va avanti e non bisogna
cadere nell’errore grossolano di credere che nulla sia cambiato.  

Netta la differenza, ad
esempio, tra la situazione odierna e le riflessioni del 1993 contenute ne
“IL SESSISMO NELLA LINGUA ITALIANA” (Commissione Nazionale Per La
Parità e Le Pari Opportunità tra Uomo e Donna) a proposito di lingua e di
legame tra discriminazioni culturali e discriminazioni semantiche:

“Insomma, non si
può assolutamente negare che determinati stereotipi riduttivi e certe
connotanti «pratiche discorsive» si mettono in atto semi-inconsciamente ogni
volta che si presenta al pubblico, specialmente in testi giornalistici, una
figura femminile, sia che questa rientri in certi profili canonici, sia che se
ne allontani […]Questi
toni compiacenti, derisori, se non addirittura ingiuriosi, ottengono un effetto
(voluto?) di riduzione della persona donna.”

RIDUZIONE DELLA PERSONA
DONNA.