Da piazza Cairoli a Times square

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Sono passati tre giorni ormai da quando sono tornata a Messina eppure ancora non mi sento a casa. Sembra tutto così distante, tutto così diverso.

Tre mesi di corso, ogni lunedì dalle due alle sei, hanno permesso che un gruppo più o meno saldo si formasse, le affinità esistenti tra caratteri diversi vengono risaltate quasi subito, e così è stato anche per noi.
L’avventura è iniziata giorno 27 Marzo, accolta da tutti con grande entusiasmo e con una voglia di partire che non si conteneva più. Ma io, anche questa volta, mi trovavo in un universo parallelo. Dopo due giorni di malattia le mie forze erano al minimo, l’allegria e l’entusiasmo per un viaggio tanto atteso erano andati in fumo, e così, con una valigia lasciata alla sbando e il solo desiderio che tutto finisse il più velocemente possibile, sono salita in macchina e ho cominciato il viaggio verso New York.
Sette e mezza alla Caronte, il gruppo di Messina parte insieme dai traghetti per arrivare all’aeroporto di Reggio. La situazione ricorda molto una gita scolastica: entusiasmo, pullman, un viaggio infinito che ci attende. E tutto questo contribuisce a rendere ancora più emozionante una partenza già carica di positività, si ride, si scherza, si canta, sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando l’evento che cambiava l’anno erano le classiche gite scolastiche, tutto ruotava intorno ad esse. Si attendevano, si desideravano, si facevano anche sacrifici per queste, e così è stato anche per noi. Questo viaggio un po’ tutti lo abbiamo sudato, ognuno di noi ha rinunciato a qualcosa per poter partire, e così quando finalmente l’agognato momento arriva non si può che essere entusiasti.
Credo di aver perso il momento di gioia iniziale. Non riuscivo a condividere i sentimenti degli altri: lasciavo la mia città in un momento non troppo facile, per partire con persone quasi del tutto sconosciute. Non era esattamente ciò che si dice “iniziare con il piede giusto”!
Arrivati in aeroporto abbiamo iniziato le prime operazioni per l’imbarco, tutti attenti ai mille documenti, alle valigie, tutti in una trepidante attesa. E finalmente dopo un’ora di ritardo e altri 40 minuti trascorsi sull’aereo in attesa di passeggeri in ritardo è iniziato il volo.
Nove ore trascorse guardando film, dormendo e girovagando nell’aereo, un viaggio interminabile! Il monitor di fronte a noi sembra indicare sempre sei ore all’arrivo, sei ore, sei ore, sei ore. Il tempo non passava mai! Seduta lontana da tutto il resto del gruppo, non ho sentito l’esigenza di avvicinarmi a loro: ancora una volta fluttuavo in un universo parallelo, alienata dal resto del mondo.
Quando finalmente il pilota ha annunciato che stavamo per atterrare mi sono sentita meglio, l’unica cosa che capivo era che mi sarei potuta fare una doccia e riposare qualche minuto.
E così scendiamo dall’aereo, tutti in fila per prendere i bagagli, passare la dogana e giungere al pullman che ci avrebbe portati al Marriott Marquis a Time Square, al centro di Mahnattan.
New York è uno spettacolo che nessuno può immaginare e neanche noi, una volta scesi dall’aereo eravamo pienamente coscienti dello spettacolo al quale avremmo assistito da lì a pochi attimi. Anche sul pullman seduta in disparte non riuscivo a capire né condividere i sentimenti dei miei compagni di viaggio, la mia empatia sembrava essere completamente scomparsa.
L’autista del pullman accende il motore e inizia a percorrere le strade di NY: tutto inizia ad essere illuminato, i palazzi che ci circondano iniziano a diventare sempre più alti, sempre più imponenti. Ti senti minuscolo a loro confronto, quasi insignificante. Ma l’atmosfera che si respira è elettrica, tutto brilla, tutto luccica, la città è frenetica, sembra abbia voglia di essere esplorata e conosciuta da ognuno di noi. È stato questo il primo momento in cui ho davvero iniziato a sentirmi viva, a sentire il sangue scorrere nelle mie vene, il cuore battere. È un po’ come quando si ha un colpo di fulmine, tutto freme.
Il primo impatto con Time Square lascia senza fiato: un’insieme di cartelloni pubblicitari enormi e luminosi, un fiume di persone che invade le strade, ognuno percorre una direzione diversa, ognuno ha qualcosa da fare, tutti occupati, tutti frenetici, quasi dimentichi che siano le 23 e 30. Non c’è differenza tra giorno e notte, la città è sempre viva, sempre al pieno della sua energia. L’impatto lascia senza parole. Giungiamo al Marriott: un enorme grattacielo di 47 piani, compare esattamente sopra le nostre teste. La stanchezza per l’interminabile viaggio non riesce a fermare il nostro entusiasmo. Arriviamo in camera, posiamo le valigie, e via di nuovo in strada!
È così tutti alla ricerca di qualcosa di commestibile da mangiare, iniziamo ad esplorare quella che sarebbe diventata la nostra “Piazza Cairoli”.  Piazza Cairoli… Già, perché dopo 10 giorni e 10 notti trascorsi a percorrere ogni strada, ad osservare ogni angolo, ad annusare ogni odore di Time Square era tutto così familiare! Anche in una città immensa come New York è possibile avere un proprio angolo di intimità, l’unico ingrediente che occorre è una buona compagnia. E di certo questa non mancava!
La notte era ormai conclusa quando siamo riusciti a toccare il cuscino, poche ore di sonno e via di nuovo in movimento. Tanto entusiasmo, l’aiuto di un amico che conosce già la Grande Mela, e la voglia di vedere il più possibile hanno permesso che la giornata si svolgesse in circa otto ore di cammino senza sosta, da una parte all’altra di Mahnattan. Rockefeller Center, Conye Island, Ponte di Brooklyn, Wall Street, Ground Zero, China Town, Little Italy, Greenwich Village, ogni posto ha lasciato un segno indelebile, ogni mattonella calpestata era qualcosa di diverso dalla realtà in cui abbiamo sempre vissuto. Niente era “strano”, per le strade di NY qualsiasi cosa tu faccia risulti essere assolutamente normale, ed è questo uno degli aspetti più belli della Grande Mela. Sentirsi liberi di fare o dire qualsiasi cosa ti passi per la mente, sentirsi liberi di cantare a squarcia gola Ligabue per le strade di Mahnattan, prendere la metropolitana alle 2 di notte e trovare così tanta gente da pensare che sia mezzogiorno, andare a China Town per cercare di comprare qualcosa di buono a poco prezzo. New York è tutto questo e molto altro ancora.
E così la nostra prima giornata è volata via, tra le risate e lo stupore per lo spettacolo visto, tra gli abbracci delle compagne di stanza e gli sguardi di intesa, tra l’inglese che quasi nessuno sapeva parlare e le risate quando tentavamo di arrancare un discorso in una lingua a noi sconosciuta.
La nostra seconda giornata trascorsa a NY è iniziata con la visita al Moma, the Museum of Modern Art: non credo di esagerare dicendo che è la cosa più bella che abbia mai visto in vita mia. Da Pollok a Dalì, da Van Gogh a Picasso, da Magritte a Matisse, non manca niente in questo museo! L’emozione provata davanti a quadri di tale importanza è qualcosa che non si può descrivere. La perfezione di quelle pennellate contrastava con il senso di inquietudine per il dissidio interiore di quegli artisti ormai scomparsi: gioia, dolore, rabbia, emozione, lacrime, stupore, non so quale di questi sentimenti predominasse mentre osservavo ciascuna meraviglia.
Dopo la visita al museo siamo andati tutti di corsa a mangiare, e poi a prepararci per la cerimonia di apertura dell’Nmun, National Model United Nation. Eravamo tutti eccitati, finalmente avremmo vissuto con i nostri occhi l’esperienza per la quali avevamo studiato per mesi! La cerimonia era prevista alla sede delle Nazioni Unite, ma purtroppo lì non è stata fatta a causa della pioggia incessante di quelle giornate. Si è tenuta dentro l’albergo stesso, sede di tutte le commissioni fatte nei giorni seguenti.
Il Marriott, enorme grattacielo, è stato messo a soqquadro da oltre mille studenti che andava su e giù tramite ascensori, scale mobili e scale secondarie. Francesi, spagnoli, messicani, canadesi, cinesi, giapponesi, ragazzi di tutto il mondo erano presenti a quella cerimonia. L’emozione era tanta, la voglia di sentirsi parte dell’intero pianeta dava la carica giusta per non perdere il controllo in una situazione tanto eccitante.
L’evento è durato un paio di ore, durante le quali è stato spiegato il progetto che nei giorni seguenti si sarebbe portato avanti, le modalità e i tempi previsti per lo svolgimento dei lavori. L’impatto con questo nuovo mondo però saremmo riusciti a comprenderlo fino in fondo solo il giorno seguente.
Finita la cerimonia non si parlava d’altro che del nostro entusiasmo! Crescere in una realtà piccola e familiare come quella di Messina e poi essere catapultati nella capitale del mondo per confrontarsi con ragazzi di ogni nazionalità è stato a dir poco sconvolgente!
Il giorno seguente è stato un continuo rincorrere il tempo, le ore sembrano volare e temevamo di non riuscire a fare tutto ciò che avevamo in mente, tutto quello che avevamo sognato in tanti mesi. La mattina è trascorsa da Macy’s, uno dei centri commerciali più grandi e famosi di Ny. Anche questo un edificio gigantesco, nove piani dedicati agli articoli più vari. Come spesso capitava, ci siamo divisi per rispettare le esigenze di tutti, e ognuno ha preso una strada diversa. Nessuno di noi era abituato a girare in un centro commerciale tanto grande, e come era prevedibile le prime conseguenze si sono viste: mi sono persa! Ogni piano era diverso, ero curiosa di girare ogni angolo e lato dell’edificio, scoprire tutti gli articoli che erano offerti, e così sono salita sino al nono piano. Accorgendomi che l’ora dell’appuntamento era vicina ho iniziato a scendere dalle scale mobili, e sono rimasta senza parole. Ogni piano in cui arrivavo era differente da quello che avevo visitato salendo! Mi sentivo in un edificio parallelo, e tra le risate e lo stupore continuavo a girare reparti totalmente diversi da quelli visti la prima volta. Non so se definire questa situazione tragica oppure comica, sicuramente dopo circa mezz’ora che continuavo a vedere articoli sempre differenti e non riuscire a tornare due volte nello stesso posto ho iniziato a preoccuparmi. Ho pensato così di chiedere indicazioni, ma la cosa sarebbe stata ridicola! Così non mi sono persa d’animo e ho continuato a girovagare fino a riuscire a tornare al primo piano. Primo piano che ovviamente non coincideva con l’ingresso dalla quale ero entrata la prima volta. Non sapevo più che fare! Ho preso il cellulare e ho inviato un messaggio ai miei amici, non so come, sono riusciti a darmi le istruzioni per uscire da quel labirinto. Un’esperienza tragicomica!
Il pomeriggio sono iniziati i primi effettivi lavori in commissione. Io rappresentavo il Bangladesh, e facevo parte dell’Alto Commissariato dei Rifugiati, con me c’era una mia collega da tre anni a questa parte, nonché mia grande amica e compagna di stanza durante quei 10 giorni a NY. Senza di lei sarei stata persa! La difficoltà più grande è stata sicuramente la lingua: nessuna di noi aveva grande dimestichezza con l’inglese, ma più o meno ce l’eravamo sempre cavata discretamente. Entrate in quel mondo è stato tutto rivoluzionato. L’italiano non esisteva più, tutti parlavano correntemente un inglese misto ad americano, con cadenze diverse, accenti diversi, ogni ragazzo aveva un’inflessione a noi completamente sconosciuta, insomma non capivamo assolutamente niente di ciò che dicevano! Sicuramente, posso dire che il primo impatto con la simulazione per cui ci eravamo tanto preparate era stato disastroso!
Siamo tornate in stanza e ci siamo confrontate con le nostre due compagne: entusiasmo e confusione anche in loro. Stessi problemi, stesse sensazioni, eravamo tutti più o meno nella medesima situazione. I lavori in commissione sono finiti per le 22 e 30 per tutti quanti, avevamo appuntamento con il resto del gruppo verso le undici per mangiare qualcosa: anche a cena non si è parlato d’altro che delle nostre sensazioni durante la commissione. L’eccitazione era scomparsa per essere sostituita da un grande senso di inadeguatezza, disagio, ignoranza. Credo di non essermi mai sentita tanto ignorante come durante quei giorni. Non eravamo assolutamente meno preparate del resto della nostra commissione, ma la lingua ci impediva di avere un rapporto alla pari con gli altri ragazzi.
Fortunatamente però non tutte le giornate sono state così tragiche. Il giorno seguente infatti abbiamo conosciuto un ragazzo fantastico! Era un canadese, rappresentava la Russia ed aveva una grande vitalità; si è avvicinato a noi e si è presentato, il primo tra tutti i ragazzi a presentarsi con il suo vero nome piuttosto che con il nome del paese che rappresentava. Finalmente un contatto umano con qualcuno! Non avevamo nessuna difficoltà a capirci, lui ci parlava sempre molto lentamente e quando non capivamo iniziava a mimare ciò che voleva dire. Ridevamo tantissimo insieme, sicuramente ci ha reso i lavori in commissioni più piacevoli. Aveva anche una gran voglia di imparare l’italiano, così ogni parola dovevamo tradurla e spiegargli il significato; cercava di capire anche quando parlavamo tra noi, vedere qualcuno così interessato alla nostra lingua, alla nostra cultura in un ambiente tanto competitivo è stato veramente piacevole. I lavori in commissione sono terminati venerdì sera e sabato c’è stata la cerimonia di chiusura: stavolta alle Nazioni Unite. Essere a New York era già emozionante in sé, ma andare alla sede dell’Onu è stata sicuramente una delle esperienze più belle. Una fila interminabile, tantissimi ragazzi tutti insieme, e davanti ai nostri occhi il luogo in cui viene deciso il futuro del mondo! Trovarsi tra quelle mura , sedersi in quelle sedie, partecipare ad un’assemblea insieme ad altri centinaia di ragazzi: non so come descrivere tutto questo. È stato come sentirsi, per qualche istante, il cuore del pianeta, l’organo vitale che permette a tutto il sistema di funzionare: in quel momento non importava né la lingua, né il colore della pelle, ciò che  importava era solo essere lì e vivere quell’attimo che resterà per sempre nei ricordi di ognuno di noi.
Siamo ripartiti il martedì successivo con una tristezza incredibile e la voglia di tornare nella Grande Mela il prima possibile. NY cambia la vita di chiunque la visiti, rende più cinici, più duri ma anche sicuramente più aperti, ospita le più svariate culture esistenti al mondo e ogni angolo di essa ha qualcosa da offrire, è un piccolo universo a sé da scoprire, conoscere e ammirare.

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