Ogni favola che si rispetti, si sa, ha la sua morale. Nascosta da fiumi di parole e coltri di fantasia, fa capolino al termine di ogni racconto, regalando alle fiabe l’intramontabile fascino della rappresentazione figurale. E di certo la storia della piccola Sira non fa eccezione.
Luana Silighini, giornalista trentottenne, ci guida attraverso l’universo incantato di un’anima che non ha mai smesso di sognare: nonostante abbia esalato il suo ultimo respiro, a bordo di un misero barcone sovraffollato Sira non cessa di viaggiare. Non ha ancora raggiunto la sua meta e non è intenzionata ad arrendersi. Un cuore che ha smesso di battere non è che l’ennesimo degli ostacoli, ma non è insuperabile. Non per lei.
Sira è una piccola rifugiata siriana. È nata in Medio Oriente, ma il suo destino l’ha condotta altrove. Un destino amaro, abietto ma impossibile da evitare. Sira non può far altro che fuggire: via dalla terra che le ha dato i natali, lontano dai paesaggi crudelmente familiari e dai caldi abbracci di una madre troppo generosa per tenerla ancora con sé.
Sira ha undici anni ed è affetta da una grave forma di diabete. Trascorrerà il suo dodicesimo compleanno al largo delle coste egiziane, in viaggio verso la sopravvivenza. Ma non sembra sia questo ciò che il mondo ha in serbo per lei: la sua innocenza viene presto preservata dalla morte, inesorabilmente severa, impietosa e inoppugnabile. Sira perde la vita a causa di una crisi ipoglicemica: sarebbe bastata una fiala d’insulina per salvarla, ma il suo zainetto pieno zeppo di medicine avrebbe occupato troppo spazio, avrebbe impedito ad un altro disgraziato di salire a bordo. E così è finito in mare, gettato nel profondo blu da “quell’uomo cattivo”, per cui una vita umana non vale più di qualche spicciolo. Pochi giorni dopo, anche l’inerte corpicino della piccola è stato affidato alle onde del Mediterraneo, abbandonato nella speranza che le acque le dessero una degna sepoltura. Questa è la storia della piccola Sira: il suo nome è una pura invenzione, la sua vicenda un’agghiacciante realtà. L’ennesima mortificazione della dignità umana, la paralizzante sconfitta di un’etica che credevamo fosse incrollabile.
Centinaia di profughi in preda alla più nera disperazione abbandonano la propria terra, in cerca di una ragione per tornare a sperare. Ammassati su chiatte sbilenche, solcano le acque del Mare Nostrum sgomitando per guadagnare qualche centimetro in più. La pelle bruciata dal sole, la gola arsa da una sete bruciante. Pochi di loro calpesteranno il suolo italiano, la morte attende al varco i più deboli. Sira era debole, una dei più deboli, ma non l’unica. È soltanto un’altra delle vittime della fatale traversata e Luana lo sa bene.
La cronista ha scelto di raccontare la breve vita di un’anima candida, regalandole la possibilità di proseguire il suo viaggio. La morte di Sira non sarà che un profondo sonno, da cui verrà presto risvegliata: la sua favola non è che all’inizio. “Sira incontrerà amici e nemici, affronterà nuovi ostacoli ed innumerevoli sfide. La prima sarà quella di fidarsi nuovamente di qualcuno: sarà il granchio Fii Fii a infonderle la sicurezza necessaria. Avventure e peripezie porteranno la piccola a conoscere un mondo ben diverso, dove abbandonerà il ruolo della rifugiata siriana e vestirà i panni di una splendida regina.” La Silighini parla con entusiasmo del suo racconto: non ha intenzione di indorare la pillola, niente affatto. Abbandono, sofferenza, crudeltà caratterizzano parte della sua prima fatica letteraria. Nascondere il dramma che si cela dietro l’imponente fenomeno migratorio sarebbe pericoloso, o quantomeno inutile. E poi, i bimbi non abboccherebbero mica: “Ero spaventata all’idea di dover parlare della morte ai più piccoli, mi chiedevo quale sarebbe stato il modo giusto per spiegare che Sira, appena dodicenne, aveva perso la vita. Eppure i miei giovanissimi interlocutori mi hanno stupito: hanno capito cosa sarebbe accaduto ancor prima di giungere al momento topico della narrazione. Sono sorprendenti: riescono a prescindere dai nostri tabù, dalle nostre paure.”
Alla presentazione del libro, che ha visto la partecipazione di ben trecentocinquanta persone, era presente un gran numero di bambini. È proprio con loro che Luana ha scelto di confrontarsi: il suo racconto d’altronde è destinato proprio ai più piccoli, si propone di veicolare ideali di integrazione e cooperazione. L’uguaglianza e l’insensatezza dei conflitti sono fra i cardini dell’intera narrazione e i giovani partecipanti non hanno esitato a tradurre tutto ciò in un’integrazione fattiva. “Le classi dei bambini presenti – spiega l’autrice – sono composte da circa dieci etnie diverse. Inoltre notevole è la variabile sociale: si pensi che due di loro sono rom. Ciò ha contribuito a rendere più comprensibile il messaggio veicolato dal libro: molti di loro hanno trasposto la loro personalissima esperienza all’interno della narrazione, immaginando decorsi diversi, possibilità alternative.”
Sembra che la Silighini abbia colto nel segno, dopo tutto. Eppure, ai bimbi non si può spiegare ogni cosa. Non bisognerebbe neanche provarci: serbare intatta parte della loro innocenza è doveroso, necessario affinché abbandonino il più tardi possibile i loro giganteschi occhiali rosa. Ottimismo e speranza sono filtri che non vanno abbandonati, né minacciati. Lo sostiene persino Angela Caponnetto, nota giornalista televisiva: “Avrei voluto esortare quei bambini ad immaginare il Mare Nostrum come un’Atlantide di anime vive e non come una sterminata fossa comune. Ancor oggi guardo a questo fenomeno con gli occhi di un’ingenua fanciulla e vorrei che chiunque facesse lo stesso.”