Donne e passione: un binomio che spesso viene accostato all’omicidio, in una degenerazione culturale tutta tipica degli anni che viviamo. Sono tempi intrisi di maschilismo, in cui soprattutto la televisione diffonde un’idea di donna-oggetto e legittima il senso di possesso da parte di amanti, fidanzati e mariti.
Sono recentissimi i dati esposti dal ministro degli Interni Angelino Alfano sulla violenza contro le donne: un omicidio su tre ha per vittima una “lei”; in un anno in Italia sono stati commessi 505 femminicidi; dall’entrata in vigore della legge sullo stalking sono state 38.142 le denunce presentate, di cui 9.116 in un anno: dal primo agosto del 2012 al 31 luglio del 2013. A denunciare, inutile dirlo, nel 77% dei casi sono donne.
È una violenza sommersa, che si perpetra giorno dopo giorno. La maggior parte delle volte resta sconosciuta al grande pubblico, e quando salta agli onori della cronaca è perché ha avuto un finale drammatico. Interessa ogni città italiana, senza distinzioni di regione o classe sociale. Anche Messina, dove la Procura ha avviato 388 procedimenti nel biennio 2011-2012. Si tratta di 238 casi di maltrattamenti, 117 di violenza sessuale e 231 di atti persecutori.
“Spesso si genera una confusione tra delitto passionale e delitto emotivo – ci ha spiegato Vincenzo Barbaro, procuratore aggiunto del Tribunale di Messina – i media parlano sempre di delitto passionale, aggiungendo poi la frase “è stato un raptus”. E invece è bene premettere che quello che viene commesso in un momento di impeto improvviso è il delitto emotivo, mentre il delitto passionale è di solito caratterizzato da una fase di preparazione e di studio”.
Bisogna prima conoscere bene il fenomeno, per combatterlo. E nelle parole del magistrato i tecnicismi esprimono al meglio la durezza di ciò di cui stiamo parlando. E tra le carte che Barbaro ci consegna durante la nostra chiacchierata, c’è anche un questionario che la Procura ha compilato sui procedimenti per violenza intrafamiliare, e che rivela i punti di forza e di debolezza dell’ufficio messinese. Se emerge infatti che esiste un gruppo di lavoro specializzato per i reati di cui parliamo, vengono messi nero su bianco le mancanze del sistema in riva allo Stretto: mancano protocolli investigativi e forme di collaborazione con i servizi sociali del Comune.
“Per quel che concerne la realtà messinese – continua Barbaro – possiamo dire che è aumentato il numero dei procedimenti per il reato di stalking, 144”. E, parlando delle misure prese dalla magistratura a seguito dei processi, Barbaro spiega che “le ordinanze di misura cautelare sono state numerose (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) spesso unite al divieto di comunicare anche telefonicamente con la vittima del reato”.
Insomma, la legge c’è e le misure per contrastare questo odioso fenomeno anche. Ma non mancano le note dolenti, come la quasi totale assenza nella nostra città di servizi sociali adeguati per il sostegno alle donne vittime di questi reati. A dire il vero un protocollo d’intesa mirato a realizzare una rete di enti che – ciascuno per le proprie competenze – abbia del personale specificatamente formato per approcciarsi a questo genere di drammi e protocolli da seguire c’è.
È un documento di nove pagine in totale, redatto dall’associazione “Al tuo fianco”, che aspetta di essere sottoscritto dalla Procura, dalla Provincia, dalla Prefettura, la Questura, il Comando provinciale dei Carabinieri, l’Azienda sanitaria provinciale, l’ospedale San Vincenzo di Taormina e il policlinico Gaetano Martino di Messina, dall’Ufficio scolastico provinciale, dall’ordine degli avvocati cittadino, dal banco alimentare di Santa Teresa di Riva e dalla comunità alloggio Santa Maria della strada di Giampilieri. Tredici soggetti diversi che, in caso di violenza su una donna, verrebbero chiamati a prendersi carico di tutti gli aspetti che un dramma del genere comporta: da quello medico a quello del sostentamento di una famiglia senza il supporto di quello che, il più delle volte, è l’unico membro a lavorare.
Un documento in linea con quelli più avanzati già operativi in altre parti d’Italia, che parte dal presupposto che “conoscere e sapere come operare in un contesto relazionale caratterizzato dalla violenza è il primo passo per riconoscere che la violenza verso le donne è un problema sociale; un problema da affrontare per garantire la costituzione di una società in cui la libertà e la gioia di vivere siano la base dei rapporti che la fondano”.
Peccato che sia ancora chiuso in qualche cassetto, in attesa di una firma decisiva a muovere i primi passi contro la violenza di genere, anche a Messina.