L’ennesima strage si è consumata pochi giorni fa, nel Canale di Sicilia: un barcone con a bordo circa 950 persone è tragicamente affondato, nella notte tra il 18 ed il 19 Aprile, sessanta miglia a nord della Libia. Il procuratore di Catania ha avuto modo di ascoltare la preziosa testimonianza di uno dei ventotto sopravvissuti al naufragio, un ragazzo bengalese sfinito ed infermo. “A bordo c’erano circa cinquanta bambini e più di duecento donne – racconta l’uomo, con voce afflitta – alcuni sono stati rinchiusi nella stiva e i trafficanti hanno serrato i portelloni, impedendo loro di uscire”. Quest’ultimo, agghiacciante particolare non è affatto una novità: i paria, i senza diritti, i più poveri vengono ammassati nei livelli più bassi degli scafi, in compagnia delle donne sole e dei bambini. Costoro hanno meno di venti centimetri a disposizione, ogni movimento è impossibile: molti partono indossando tre o quattro paia di pantaloni, costretti a urinare e defecare rimanendo assolutamente immobili per giorni. I meno fortunati vengono stipati fra le macchine ed un loro gesto involontario, persino un momentaneo irrigidimento muscolare, potrebbe causare un’irreparabile avaria ai motori.
Nonostante le orribili condizioni in cui centinaia di migranti si trovano costretti ad affrontare un improbabile viaggio della speranza, i costi della traversata sono grandemente elevati: i migranti che aspirano a raggiungere Lampedusa dalle coste libiche sono costretti a pagare almeno 2600 euro.
Il racket della tratta di esseri umani guadagna ben più di 350 milioni di dollari l’anno per condurre oppressi e disperati dal Paese d’origine sino al litorale lampedusano: i trafficanti vengono pagati per trasportare gli uomini attraverso il Sahara e far sì che passino senza ostacoli la frontiera libica, per poi partire alla volta di Lampedusa.
Come si evince dalle numerose interviste ad opera di psicologi ed antropologi, le tariffe pagate per compiere l’ultimo, il più arduo tratto della traversata, variano a seconda dell’etnia: le etnie ritenute più abbienti, che si troverebbero nella condizione di rivendicare eventuali sparizioni in mare, sono obbligate a versare una somma decisamente più ingente, ottenendo però maggiori garanzie.
Coloro che non possiedono abbastanza denaro, solitamente maghrebini e bengalesi, viaggiano su pescherecci da rottamare, guidati da un volontario cui viene praticato uno sconto sulla traversata, con rischi grandemente maggiori e tempi più lunghi. Talvolta persino un barcone malandato rappresenta un lusso per chi, povero fra i poveri, non ha soldi a sufficienza: gli sfortunati vengono caricati a bordo di gommoni con motori da quaranta cavalli, che si fermano regolarmente dopo trenta o quaranta miglia di navigazione.
Nonostante si tratti di viaggi pagati a caro prezzo, ai disgraziati non viene riservato alcun rispetto, la loro dignità viene calpestata senza indugi e la loro umanità irrimediabilmente derisa. Le donne sole vengono sistematicamente violentate da contrabbandieri e guardie di frontiera, giungono in Italia in stato interessante senza esserne consapevoli. Molte di loro scelgono di interrompere la gravidanza presso gli ospedali partenopei, dopo aver ottenuto un permesso umanitario. Nessuna tuttavia fa parola alle autorità in merito gli abusi subiti, anche se denunciare il racket permetterebbe loro di ottenere la meritata protezione. Le donne, spesso accompagnate dai trafficanti, temono ritorsioni di ogni genere, quindi si vedono costrette a tacere.
Ma costoro, stuprate e seviziate, sono comunque da ritenersi le più fortunate: durante i frequenti viaggi della speranza centinaia di uomini trovano la morte, presto dimenticati dagli stessi compatrioti, che gettano i loro cadaveri in mare per avere più spazio a bordo.
Un numero sempre maggiore di corpi affolla il “mare nostrum”: individui bistrattati, umiliati, privati di ogni diritto e rapidamente caduti nell’oblio. I loro cadaveri, ormai cibo per le numerose spigole che sono tornate ad affollare il canale di Sicilia, non avranno alcuna sepoltura. La loro scomparsa non verrà mai compianta: si tratta soltanto delle ennesime vittime di un sistema che non lascia altra scelta, che spinge ad una fuga disperata ma che conduce quasi certamente alla morte.
Il popolo italiano, europeo, mondiale, scosso soltanto dai grandi numeri e da eventi spettacolari, dimentica spesso che le tragiche traversate mietono vittime ormai all’ordine del giorno e che trovare una soluzione non è semplice ma necessario. Troppo spesso cadaveri casualmente finiti nelle reti dei pescatori vengono ributtati in mare per evitare un eventuale intervento delle autorità. Troppo spesso i mass media hanno taciuto naufragi e disastri che hanno portato alla morte di pochi uomini, un manipolo di disperati che, a quanto pare, non merita che pochi, distratti commenti.
Occorre aprire gli occhi, smettere di voltare le spalle ad una triste realtà, ad una tragedia che si consuma a poche miglia dalle nostre coste. Falso perbenismo, aiuti umanitari, pochi, sparuti volontari non sono più sufficienti, o forse non lo sono mai stati.
Le morti di migliaia di migranti, alla disperata ricerca di un futuro, non sono che silenziose ma strazianti grida d’aiuto e il mondo non può più ignorarle.