Chi mi segue sa già cosa penso: ho manifestato fin da subito la mia contrarietà all’apparizione di Diego Armando Maradona sulla tv di Stato. Soprattutto se questa apparizione (gratuita o meno importa poco: non è questo il punto) avviene su quella terza rete Rai che dovrebbe essere “servizio pubblico”. Non amo il calcio; o, per meglio dire, non amo tutto il denaro che gli ruota attorno, poiché questo modo di intendere lo “sport” è stato il grimaldello, il cavallo di Troia che ha consentito a personaggi come il pregiudicato Berlusconi Silvio di spazzare la nostra storia repubblicana e costituzionale e affermare la dittatura mediatica, la più pericolosa poiché non sparge sangue ma tacita le coscienze.
I valori su cui sono caduti i partigiani, gli unici veri e autentici Padri della Patria (non temo di apparire retorica: rivendico per me questa definizione che dovrebbe attualizzarsi!) sono stati sostituiti dal malaffare, dalla ladroneria, dallo sberleffo delle leggi di questo malandato Stato e assurti a sistema valoriale largamente condiviso, purtroppo. E se ci si scandalizza per chi ha ancora l’impudicizia di difendere un pregiudicato che non riconosce nessun potere eccetto che il suo dopo, ovviamente, diventa naturale portare senza vergogna in tv un personaggio come Maradona che ha una pendenza con il fisco italiano di 39 milioni euro, che ha avuto frequentazioni con ambienti camorristici ed ha allegramente fatto uso di cocaina forse anche per questo inficiando le sue potenzialità sportive. Alla faccia dei valori che poi vorremmo trasmettere alle nuove generazioni! Questa società ormai priva di qualunque etica, se questa parola ha ancora un senso, non mi appartiene; abbiamo permesso che si costruisse una comunità fondata sui consumi e non sul senso dello Stato. E’ per questo che faccio qualche domanda sullo stato di salute della nostra repubblica a un osservatore esterno, a chi, per mestiere, è abituato a osservarci.
Karl Hoffmann è il corrispondente tedesco per Ard, la radio-tv di stato tedesca. Vive in Italia da molti anni e comunque da un tempo sufficiente per capire come siamo fatti e raccontarlo al suo Paese, la Germania. Lo chiamo al telefono: “ti fai intervistare da me?”. Accetta, con una semplicità che subito mi piace. Non ci conosciamo, ci vediamo per la prima volta per questa occasione. Il nostro incontro è la conferma di quel che penso da sempre: gli uomini grandi sono uomini semplici. Voglio sapere da Karl come vede lui l’Italia, se coglie la tracotanza di certa classe intellettuale, se è la stessa che vedo anch’io.
“Ciò che si vuole dall’alto è più forte da ciò che si vuole dal basso” diceva Pasolini. E’ davvero così?
Pasolini è un’icona che giustamente viene onorata tutte le volte che è possibile. Ma è anche un vizio di questo paese: onorare eroi di una certa cultura e che come tali dovevano morire, altrimenti non sarebbero tali. Ma queste sue parole non sono vere in tutto il mondo: una democrazia che funziona può benissimo opporsi a ciò che viene dall’alto. Poi dipende da quanto è grande questa distanza fra chi è governato e chi esercita il potere. Questo fatalismo è una delle sciagure dell’Italia e fa comodo a chi la governa, poiché conta su questa sorta di immobilismo tutto italiano.
Come sta la nostra cultura? E l’informazione giornalistica?
Ogni stato ha bisogno del mondo della cultura, che è un regolatore indispensabile: la cultura, e intendo con questo sia il teatro, la televisione, la musica eccetera, è il sesto potere. Senza una buona cultura non esiste nemmeno una buona politica. Poi ci sono anche i giornalisti sotto scorta, ne ho conosciuti. Ma nella mia esperienza ho notato che sono diventati celebri, quasi delle star. Ho lavorato con alcuni di loro, realizzando anche dei servizi e, ovviamente, mi dispiace la loro condizione, ma non è da lì che nasce il nuovo. Ho conosciuto dei giornalisti che lavorano in piccolissimi paesini della Calabria, per esempio: fanno i corrispondenti di giornali molto piccoli, sono pagati niente e vivono sulla loro pelle fatti gravissimi; ecco, lì la libertà di stampa non esiste e non si può chiedere loro di rischiare la vita per una non libertà di stampa. E’ un sistema malato, corrotto. Bisogna aspettare tempi migliori.
Siamo una democrazia apparente?
Una democrazia carente, piuttosto. Una finta democrazia: è democrazia nelle parole e non nei fatti. Ripeto forse una banalità, ma questi vent’anni sono stati micidiali per questo paese e su molti fronti ma, soprattutto, per il senso dello stato che è stato distrutto sistematicamente da personaggi come Berlusconi. Se un ladro parla alla pari con chi è sempre stato onesto e, per un falso senso di democrazia, dobbiamo sempre incontrarci a metà strada per avere consenso, allora facciamo anche dell’onesto un mezzo ladro. L’illegale rimane tale. Solo che abbiamo spostato l’asse dell’etica, della morale pubblica verso una deriva davvero immorale.
Dichiarare, scrivere anche, che Berlusconi è un pregiudicato e un ladro e vedere che alla comunità non fa nessuno effetto è davvero gravissimo.
Cito Nanni Moretti: “con questa classe politica non vinceremo mai”. Ma anche Travaglio: “quando cadrà la classe dirigente della destra cadrà anche la sinistra”.
Ci sono ancora gli intellettuali oggi in Italia o, dopo Paolini, il deserto?
Hanno un ruolo così marginale ormai, sono così poco incisivi nella società italiana. Non hanno più un ruolo politico poiché gli è stato tolto. L’Italia è da sempre piena di pensatori, di filosofi. Oggi non esiste più un intellettuale che siede in parlamento, per esempio: al massimo scrivono qualche editoriale su un quotidiano. Gli intellettuali sono morti dopo la grande manifestazione del social forum per la pace al Palasport di Firenze. Quello è stato il momento più alto per gli intellettuali italiani. A Firenze si avvertiva il cambiamento, era il segno che la società civile poteva ancora manifestare il suo pensiero senza essere una minaccia, come venne invece disegnata a Genova. Molti intellettuali hanno difeso il dovere alla resistenza del cittadino di fronte alla prepotenza dello stato.
Ripensandoci quello che manca è proprio quello che fai tu, cioè quello di coinvolgere a una partecipazione più ampia le persone svantaggiate. Da noi c’è invece una forma di separazione: gli intellettuali parlano agli intellettuali. E’ molto miope tutto questo.
La separazione delle classi sociali. Concordo con Karl e sulla miopia della intellighenzia italiana, chiusa a riccio dentro il suo snobismo tronfio e compiaciuto sempre e solo di se stesso. Una classe intellettuale che ha perso la capacità di parlare a questo Paese. Gli effetti? Sotto gli occhi di tutti, da vent’anni almeno. E con Maradona assurto a esempio mirabile da seguire.
Auguri, Italia! Con l’eleganza di un ombrello appeso al braccio.