Disabilita’ e vane parole

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Il mondo della disabilità è pieno di espressioni “politicamente corrette”, vale a dire rassicuranti per chi le pronuncia, ma ingannevoli (per non dire ipocrite) per chi le ascolta. Una di queste è: la disabilità come opportunità.

Ecco cosa scrive sul suo blog Matteo Schianchi (autore, fra le altre cose, del libro La terza nazione del mondo. I disabili tra pregiudizio e realtà) “Ignoro quali siano le sue precise origini. Sono subito portato a pensare che, opportunità, in questa formulazione, sia una derivazione di un’espressione tipica del business: “opportunità di mercato”. Già così si percepisce il tragico e diffuso travaso di concetti ed espressioni commerciali (cioè inerenti le merci e il denaro) verso dimensioni non commerciali, banalmente umane e sociali. Oppure sono portato a pensare che sia la rivisitazione di quella “opportunità che tutti devono avere” tanto anelata e celebrata dalla cultura a stelle e strisce. In ogni caso è un’espressione facile, commercialmente valida sui mercati mediatici e del sociale, ma fuorviante. È utile a celebrare il campione di turno, oppure serve a “motivare” il fare qualcosa, trasformando un fardello in un’opportunità”.

Un’ espressione, dunque, abbastanza infelice. Non solo. “Essa richiama, per negazione, un immaginario riprovevole al senso comune (la disabilità come tragedia, sfiga, fardello), butta in avanti la realtà senza averla minimamente colta. A successo già avvenuto si salta sul cavallo del vincitore, oppure si cerca di costruire a parole dei vincenti (siano essi individui o delle situazioni) immaginando un roseo futuro di successi avendo dimenticato il fatto che gli eventuali successi futuri si ottengono affrontando seriamente il presente. Per molte persone, la loro disabilità è, quotidianamente, un modo di vivere. Non ambiscono necessariamente a successi da celebrare. Le opportunità di cui sono in cerca non stanno nella disabilità, ma nelle relazioni e nel mondo sociale che le circondano. È in queste dimensioni che si costruiscono esistenze piene, capaci di fare i conti con le persone, disabilità compresa. Il resto è pubblicità”.

Sono tante le “etichette” che andrebbero tolte dal linguaggio comune quando si parla di disabilità. Le parole sono importanti.

“…addirittura lo sono le congiunzioni. Proviamo a soffermarci sul titolo di un articolo di un giornale a distribuzione gratuita a proposito di una persona con disabilità di cui anche la rete ha parlato: “è disabile ma scala il Kilimangiaro”.  Forse avrebbe fatto un altro effetto un titolo sottilmente diverso: “è disabile e scala il Kilimangiaro”. Tra quel ma e la e c’è una bella differenza.
“Il “ma” prefigura il sensazionalismo dell’impresa, proponendo uno scenario del disabile normalmente “infermo”, che non è una categoria del movimento umano, ma dello spirito e per cui si considera chi ha una disabilità come incapace e inetto. La congiunzione “e” invece avrebbe aperto uno scenario diverso: una persona disabile aperta sul mondo che, in una dimensione eccezionale per tutti (quanti normali sono stati sul Kilimangiaro?), decide di lanciarsi in un’impresa. Quando si decreta a priori che le persone con disabilità sono chiuse al mondo, a meno di straordinarie imprese, le si condanna con una semplice congiunzione”, scrive Matteo all’interno di un altro post.

L’informazione, dunque, gioca sempre un ruolo decisivo. E’ vero che il mondo della disabilità soffre di problemi ben più grandi dell’uso (politicamente scorretto) dell’italiano. Tuttavia è anche dalle piccole cose che nasce una cultura diversa, una visione diversa del mondo e della vita.

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