Donne che grazie all’amore si ribellano e fuggono dalla ‘ndrangheta. “Disonora il padre” racconta la mafia calabrese privata del suo esercito di donne e bambini.
Venerdì 22 e lunedì 25 novembre in seconda serata su Rai3 e Rai Play, andrà in onda “Disonora il padre“, un racconto antropologico della mafia calabrese, e di una rivoluzione tutta femminile. Al timone Dina Lauricella, giornalista siciliana che è riuscita in una grande scommessa: tornare a parlare al grande pubblico di mafia e antimafia. Abbiamo raggiunto Dina al telefono per farci raccontare del nuovo imperativo: “Disonora il padre”.
Le donne che racconterai al grande pubblico sono donne che “fanno tremare la ‘ndrangheta”.
La ndrangheta è una delle mafie più familistiche del mondo, la cosca è fatta dalla famiglia di sangue. Nel momento in cui, per la prima volta nella storia, le donne scoprono una via alternativa alle quattro mura di casa, alle botte, alle privazioni, ai matrimoni combinati, il loro allontanarsi diventa esplosivo. E questo avviene grazie anche e soprattutto ai social network e agli smartphone che aprono finestre su mondi che queste donne non immaginavano neanche e dove vengono stuzzicate aree dell’emotività che per loro sono vergini. Seguono il flusso di quelle emozioni e si allontanano pian piano da quella realtà arcaica che la ndrangheta vuole preservare, portando con sé i figli. E’ un’antimafia spontanea che nasce da dentro e che non possiamo far finta di non vedere: se alla famiglia ‘ndranghetista togli la donna e i figli minori, gli dai una mazzata sulle gambe.
La cronaca racconta di donne brutalmente uccise per quest’abbandono.
Se queste donne “sgarrano”, allora il codice d’onore prevede che il padre o il fratello, piuttosto che il figlio, debba vendicare l’onta del tradimento che macchia il buon nome della famiglia, uccidendo la donna. Giuseppina Pesce è la prima nel 2010 a raccontare l’esistenza dell’omicidio d’onore, segue Maria Concetta Cacciola che ne resta vittima. Ma mentre per le collaboratrici c’è un percorso ben delineato, nel momento in cui una donna di una famiglia di ‘ndrangheta, invece, non sa riferire nulla, ma semplicemente vuole andare via e strappare i sui figli a quel destino, a quel punto si apre una voragine. Sono una trentina in questa categoria. Queste donne non godono, ad esempio, di alcuni privilegi come il cambio d’identità. Ed è una categoria che è fondamentale per la salute del nostro Stato.
Stando a quanto ha dichiarato il dottor Di Bella della Procura di Reggio Calabria, anche gli ‘ndranghetisti in galera non sono in disaccordo sul cambio di rotta dei figli.
Sono casi che si contano sulle dita di una mano. In generale un padre ‘ndraghetista non esulta se gli togli un figlio che è un membro del suo esercito.
Il pensiero ‘ndranghetista fa presa su un territorio che va oltre la Calabria.
Questo è il dramma. Dire che la ndrangheta è in Calabria è molto riduttivo rispetto alle colonie che ha sparse nel mondo. La Calabria resta il palcoscenico degli orrori più intimi della ‘ndrangheta. C’è un caso recentissimo di delitto d’onore perpetrato dal cugino di Maria Concetta Cacciola che vive e lavora a Milano. Quest’estate si trovava a San Ferdinando quando nottetempo becca la moglie su Facebook a chattare con un amante che lei non aveva mai neanche visto. Le strappa il cellulare di mano e la obbliga a invitare quest’amante virtuale a casa. Lo ammazzerà a mani nude e butterà il cadavere sulla strada davanti alla porta di casa. Lo fanno in Calabria perché lì queste cose hanno un significato ben preciso, ma lo fanno anche fuori.
Quanto e come riesce la ‘ndrangheta a lavorare insieme alle altre mafie?
L’ha fatto sicuramente la ‘ndrangheta stragista. A un certo punto la mafia siciliana ha voluto tirarla dentro la sua lotta contro lo Stato, ma dopo un primo omicidio hanno capito che serviva solo a riaccendere i riflettori su di loro e sono tornati dietro le quinte. Detto questo, però c’è una rete che gli consente di operare. Basti pensare che nel mondo dei broker della mafia solo 5 possono vantarsi di comprare la cocaina in Colombia con una sola stretta di mano e pagare alla consegna. Di questi 3 sono ‘ndranghetisti. Hanno un mercato che inevitabilmente li mette in contatto con altre mafie. Se dovessi fare una scala degli interessi del business mafioso, sicuramente, subito dopo la droga c’è lo smaltimento dei rifiuti. Questo è poco ma sicuro.
In una realtà del genere quanto incide una decisione come quella di aprire i permessi premio anche per gli ergastolani in 41 bis?
Succede già da tempo. Esistono casi di ‘ndranghetisti al 41 bis che usufruiscono dei permessi. Ed è uno scandalo. Quando mettono piede in paese gli fanno la festa. Uscire dal carcere significa essere un eroe. Il carcere te lo augurano. I bambini ripetono ” io da grande voglio finire in carcere come papà”. L’unica punizione che riconoscono è il sequestro dei beni e l’abbandono delle donne, allo stesso modo. Il figlio di Giuseppina Pesce, 10 anni disse alla madre: io non posso venire con te perché tu hai offeso papà ed io di notte devo prendere un coltello e uccidere il tuo compagno.
Cosa occorre fare per aiutare questa spinta che hai definito “antimafia spontanea”?
Deve diventare un argomento all’ordine del giorno nell’agenda politica. E questo non mi pare che stia succedendo. La mafia prima non esisteva, poi andava combattuta, poi ci fu il periodo del “bisogna conviverci”, oggi proprio non se ne parla. Trovo coraggiosa la scelta del direttore di Rai tre di darmi quest’opportunità perché è un tema difficile da proporre televisivamente a meno che non passi sotto forma di fiction.
È una bella scommessa, quella di Dina Lauricella e del suo Disonora il padre, soprattutto a cavallo tra il decennale della morte di Lea Garofalo e la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.