Disquisire l’Antimafia

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Altro convegno all’insegna della migliore cultura dell’antimafia ma si rischia davvero di dilatare i concetti e limitarli a categorie di pensiero che forse andrebbero ricondotte all’interno dell’azione dei governi. Restano importanti le numerose iniziative sul territorio che mettono in connessione i diversi attori coinvolti nella lotta al fenomeno mafioso ma mentre nelle aule si riconoscono le tesi verso cui muoversi e si analizza un fenomeno che ha già dimostrato i propri contorni, le proposte che da queste vengono sviluppate rischiano di restare lettera morta. Ne è un esempio il recente rapporto “Per una moderna politica antimafia” della Commissione per l’elaborazione di proposte per la lotta, anche patrimoniale, alla criminalità voluta dal precedente Governo Letta.Stessa cosa sul piano del coordinamento degli organismi nati per supportare lo Stato nell’esercizio del diritto e della lotta alla criminalità. Alla cronaca la polemica tra Antimafia e Agenzia per i Beni confiscati alla Mafia gestione Caruso.

Giuristi, magistrati, politici e giornalisti si stanno confrontando a Palermo sul tema “Ripensare l’antimafia”, il convegno organizzato dal Dems, (Dipartimento degli Studi Europei e dell’Integrazione Internazionale dell’Università di Palermo) in collaborazione con la Fondazione Progetto e Legalità Onlus. Un tema che sta animando il dibattito interno al mondo della giustizia e della politica, a fronte anche dei nuovi elementi che a ruota arricchiscono lo scenario della corruzione in Italia e di cosa farcene di quei beni una volta sottratti al dominio dei boss.

E proprio in seno al dibattito attuale sull’antimafia che già nel corso del mese di marzo si sono susseguite numerose audizioni sul tema, quasi ad anticipare i lavori di oggi. In Sicilia va registrato, ad esempio, per la prima volta l’incontro tra la Commissione parlamentare nazionale Antimafia e la commissione Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana di inizio marzo. Nella due giorni palermitana non sono mancate polemiche tra organismi che invece sulla carta dovrebbero sviluppare sinergie e reciprocità di azione. Sono state nette, ad esempio, le polemiche tra la Commissione Antimafia e il prefetto Giuseppe Caruso, l’ex direttore sull’Agenzia dei Beni confiscati alla mafia.

Nella prima giornata di lavori organizzato dal Dems, in risposta al tema sul voto di scambio, la Presidente Bindi, in particolare, si è sofferma sull’iter di riscrittura del 416-ter in discussione alle Camere, dichiarandosi soddisfatta per la nuova stesura della norma sul voto di scambio politico-mafioso. “Abbiamo fatto un buon lavoro sul 416 ter, finalmente c’e’ stata una interlocuzione e un ascolto reciproco tra la politica, la magistratura, con gli avvocati, cosa che non c’era stata nella prima stesura del provvedimento ne’ alla Camera, ma sarebbe stato singolare che finalmente nel momento in cui colmiamo una lacuna nel provvedimento, lo avremmo fatto in maniera sbagliata”, ha aggiunto. “Questa formulazione finalmente soddisfa tutti. Spero che nessuno riapra la partita al Senato”,ha aggiunto Bindi a margine del Convegno.

Restano sul campo molte questioni irrisolte e che spesso nell’ambito dei convegni non trovano le dovute soluzioni. Molto si è discusso ancora sull’Agenzia dei Beni confiscati alla mafia e anche in questa sede non sono mancate posizioni nette. “L’agenzia nazionale dei beni confiscati funziona male, ha problemi di organico e non ha capacità manageriali per gestire le aziende confiscate. Certo ci sono aziende a forte capitale mafioso che non si possono salvare, ma per altre deve essere avviato un processo di rinnovamento”. L’ha detto Vincenzo Oliveri, presidente della corte d’appello di Palermo, intervenendo al convegno. Su questo punto ad inizio marzo proprio l’onorevole Bindi si trovò in aperta polemica con il Prefetto Giuseppe Caruso, l’ex direttore dell’Agenzia. La Presidente Bindi denunciò il rischio che le critiche rivolte da Caruso agli amministratori giudiziari rischiassero di “delegittimare l’intero sistema”.

Non è stato molto preso in considerazione – per restare in tema di audizioni, relazioni e dossier redatti e relegati a meri fogli di carta – il Rapporto “Per una moderna politica antimafia” della Commissione per l’elaborazione di proposte per la lotta, anche patrimoniale, alla criminalità voluta dal precedente Governo Letta.

Dai lavori di questa commissione sono emerse alcune proposte per incidere sul fenomeno pensando soprattutto al coinvolgimento delle associazioni territoriali impegnate nelle battaglie culturali volte a debellare ogni forma di illegalità. “Si rende necessario – leggiamo nel rapporto – predisporre misure che rendano i beni sottratti alla criminalità mafiosa “presidi di legalità”,forieri di rinnovate relazioni economiche, sane e legali, con una particolare attenzione alle aziende sequestrate e confiscate, perché divengano occasione di rilancio economico, soprattutto per le aree geografiche maggiormente interessate dal fenomeno mafioso, tra cui le zone economicamente più depresse del Paese, ponendo il lavoro al centro di un nuovo percorso di riscatto civile e sociale”.

Attualmente il Codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011) rappresenta il principale punto di riferimento in tema di misure di prevenzione. Il sequestro e la confisca, ricordiamo come siano le principali misure di prevenzione patrimoniali. E proprio da questo punto che prende forma la proposta della commissione di legittimare il Procuratore nazionale antimafia e il coordinamento delle indagini e delle proposte volte all’applicazione delle misure di prevenzione. La Commissione ritieneva che debba essere, anzitutto, superata l’incoerenza della mancata attribuzione al Procuratore nazionale antimafia del potere di proporre anche le misure di prevenzione patrimoniali in uno a quelle personali, con la modifica dell’art. 17 Codice antimafia, riconoscendo maggiore centralità alla figura del Procuratore. “Si rende necessario – scrive la commissione – integrare anche la formulazione dell’art. 81 Codice antimafia, estendendo il già previsto obbligo di comunicazione da parte degli organi legittimati a proporre la misura (con riferimento all’avvio degli accertamenti personali e patrimoniali e alla comunicazione della proposta della misura patrimoniale).

Seconda proposta emersa, l’istituzione di un registro nazionale unico per le misure di prevenzione e il miglioramento dei flussi informativi tra le forze di polizia come prospettata, nel corso delle audizioni, dal Capo della Polizia e dal Comandante generale dei Carabinieri. A queste proposte ne sono state aggiunte di altre, tra cui il contenimento degli effetti dell’incompetenza territoriale spesso alla base dei mancati accertamenti.

La confisca, come si è accennato, può colpire oltre che i beni del condannato anche quelli altrui. Rispetto alla confisca cosiddetta “allargata”, la Commissione  sottolinea la necessità di regolare con maggiore chiarezza i diritti di difesa non solo del condannato ma anche dei terzi e l’applicazione della disciplina dettata dal Codice antimafia in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati in sede di prevenzione.

Sulla Gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, riscontrate le criticità nella gestione degli stessi beni, si ricorda come è proprio nella fase della destinazione dei beni che si avvertono con particolare intensità le difficoltà implicate dal lungo lasso di tempo che solitamente decorre tra il sequestro e la confisca definitiva, soprattutto con riferimento alle aziende, come già evidenziato in precedenza.

In particolare, l’incidenza negativa del fattore temporale determina quasi sempre una sensibile riduzione del valore dei beni. Inoltre, va evidenziato, fra le difficoltà di questa fase, che spesso, come riferito in effetti dal Prefetto Caruso, nel corso dell’audizione con la Commissione Antimafia a Palermo, mancano le manifestazioni di interesse per i beni confiscati, anche per l’assenza di adeguate forme di pubblicità dell’elenco dei beni disponibili da destinare e si registrano, altresì, pochissime richieste da parte di enti territoriali diversi dai comuni.

Insomma, ritrovarsi attorno ad un tavolo per discutere di come rendere più efficace l’azione della giustizia e del governo nel contrasto al fenomeno mafioso (in tutte le sue forme) può anche arricchire le condizioni entro cui si sviluppa il dibattito ma siamo sicuri che i microfoni di una sala convegni sia lo spazio migliore per trovare soluzioni che già sembrano ben esplicitate ma che con estrema difficoltà vedranno applicazione?

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