Nella relazione della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, resa pubblica il 22 giugno scorso dalla presidente Rosy Bindi e dal procuratore Franco Roberti , si conferma la presenza ed il radicamento della ‘ndrangheta all’interno delle istituzioni e, quindi, del potere.
In quest’occasione, Roberti ha parlato di rapporti anche con “professionisti” in grado di condizionare, se non dirigere, le scelte strategiche dell’intera associazione criminale, in quanto appartenenti ad una “struttura riservata”che vanta legami con la massoneria e i servizi segreti.
Tale struttura sarebbe stata tenuta nascosta agli stessi affiliati. In particolare, ne farebbero parte gli avvocati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo, insieme all’alto funzionario regionale della Calabria Francesco Chirico, l’assessore regionale Alberto Sarra e il senatore della Repubblica Antonio Caridi.
Secondo quanto emerso dai lavori, si configura un intreccio di interessi e relazioni di potere che attraversano l’Italia da nord a sud, dove il mondo criminale mafioso condiziona e dirige ogni decisione con l’assenso, il supporto e la condivisione di nomi “eccellenti” dell’amministrazione pubblica e di esponenti politici collusi con esso.
Business, ricchezza e impunità sono le parole-chiave di questi “patti”, già delineati dall’inchiesta “Mamma Santissima”, coordinata da Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto di Reggio Calabria.
In particolare, la figura di Romeo sembra essere il fulcro di questo “sistema”. I suoi legami stretti con la massoneria gli avrebbero permesso di guidare le azioni delle istituzioni, e di mettere in atto un forte dinamismo nelle convivenze sia con il mondo imprenditoriale sia con la pubblica amministrazione.
Il Romeo, come evidenziato nella relazione, era stato anche in rapporti stretti con l’eversione dell’estrema destra, fin dagli anni ’70. Aveva “curato”, con collaborazioni di tipo anche mafioso, la latitanza e la fuga di Franco Freda, imputato per la strage di piazza Fontana.
Inoltre si aggiunge che, negli ultimi quindici anni, la scelta di chi è potuto entrare nelle stanze del potere definito “quello vero, quello reale”, a partire dai sindaci agli assessori e consiglieri, dagli amministratori regionali ai parlamentari sia nazionali che europei, di “un certo contesto territoriale”, risulta essere stata in mano a questi individui, all’interno di questa stanza dei bottoni in cui si sono decise le sorti del Paese Italia.
Gli strumenti intimidatori utilizzati come “metodo collusivo-corruttivo”, secondo la relazione di Roberti, avrebbero perso col tempo le caratteristiche passate e sarebbero state in qualche modo istituzionalizzate, cioè messe in atto da ufficiali dello Stato.
Oltre a quanto già detto, è stato delineato un contesto criminale e corrotto che va anche oltre i confini nazionali, interessando l’Europa , gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia.
La constatazione di questa capacità camaleontica delle associazioni criminali di evolvere e assumere sempre sembianze diverse e di individuare sempre diversi obiettivi, già nota da molti anni, pare essere l’odierna consapevolezza della Dna.
Il procuratore Franco Roberti, infine, indica la strada per un possibile cambiamento, volto al controllo e al contrasto di questa “zona grigia” e propone di modificare il 416-bis. Secondo quanto dichiarato, si deve tener conto del fatto che se è vero che le mafie uccidono un po’ meno, sicuramente non hanno mai smesso di fare affari. Un preciso e puntuale monito ad agire con azioni legislative, che contrastino le modalità corruttive e collusive quanto mai attuali nella realtà politica italiana, e non solo.
Di Enza Galluccio
autrice di testi sulle relazioni tra poteri forti e criminalità organizzata