Donne indifese, senza più lacrime, donne vittime della storica prevaricazione degli uomini, donne fisicamente e psicologicamente deboli, donne impaurite…donne. Così l’iconografia ci mostra le donne vittime di violenza e maltrattamenti. E se fossero, più semplicemente e ferocemente, esseri umani private del diritto/opportunità di scelta?
I mass media spesso ci informano che le donne maltrattate hanno la tendenza a giustificare i comportamenti violenti, a ritirare le denunzie, a subire in silenzio le violenze dei loro compagni, come se in qualche modo tendessero a negare la loro condizione di vittime e volessero assolvere i loro carnefici.
Le donne maltrattate allora, ci illuminano gli esperti e i centri antiviolenza, vanno (mal)trattate come esseri inconsapevoli, necessitanti di un percorso psicologico di presa di coscienza del loro vissuto di violenza e aiutate a denunciare i propri carnefici.
Dalla nostra esperienza emerge al contrario una realtà ben più complessa. La violenza in sé, infatti, è una modalità di “relazione” fra esseri umani, non necessariamente patogena e inaccettabile. Essa lo diventa, per quanto ci riguarda, solo e nella misura in cui venga percepita e vissuta come tale da chi vi è coinvolto. Analogamente una relazione “violenta” non necessariamente si nutre di azioni violente, ma anche e soprattutto di omissioni. Così la violenza può non essere addebitabile alla “persona violenta” e alle sue azioni deliberate, ma essere connessa alla situazione di vita concreta in cui la relazione si svolge che non offre alternative concrete tanto al carnefice che alla sua vittima.
La nostra esperienza spesso ci ha mostrato che il “carnefice” non è geneticamente “violento”, e che la “vittima” è altrettanto capace di infliggere sofferenza e esplicitare violenza.
Quello che manca alle donne, che si rivolgono a noi, per allontanarsi dalla fonte di violenza non è l’autocoscienza o la consapevolezza di essere vittime, né tanto meno l’amore incondizionato verso il proprio aguzzino, ma semplicemente la mancanza di possibilità di accoglienza immediata insieme ai propri figli e di un supporto concreto per cominciare a costruire un percorso di vita autonoma e autogestita.
Fatti non parole: verrebbe da dire. Non autocoscienza, ma autogestione. No supporto psicologico, ma risorse economiche e abitative. Quello che manca alle donne vittime di violenza, non sono certo i “buoni consigli”, ma delle opportunità concrete.
Dal 2004 ad oggi abbiamo reso possibile la realizzazione di tali percorsi di autonomia fornendo consulenza legale, supportando nella ricerca lavorativa e abitativa. Per tutte queste donne si sono prospettate così valide alternative ad una vita di soprusi e violenze.
E’ chiaro che questo non è l’unico percorso possibile. Spesso le donne richiedono aiuto per far ragionare il loro compagno o si allontanano nella speranza che cambi. O ancora alcuna donne ritengono che l’unico modo per uscire dalla situazione di violenza sia trovare un uomo giusto che possa accoglierle e difenderle.
Il percorso di fuoriuscita dalla violenza non è mai un percorso lineare ma subisce battute d’arresto, ritorni indietro e fughe in avanti. La scelta dell’associazione è quella di rimanere comunque, e fin dove è possibile, accanto alle donne, senza giudicarle e dando loro credito e possibilità di realizzare la loro idea di vita anche quando (e soprattutto quando) non la condividiamo.
L’associazione è raggiungibile via telefono allo 095/7319018, via e-mail [email protected] o direttamente in via Carlo Forlanini 163 Catania.