Cambiare sesso nel registro dell’anagrafe senza sottoporsi all’intervento chirurgico, in modo da essere uomo sulla carta e donna nella vita o viceversa, oggi non è ancora previsto dalla legge. Anzi la legge di riferimento, la 164 del 1982 come modificata nel 2011, richiede per la rettifica dei dati anagrafici della persona, rispetto a quelli dichiarati al momento della nascita, una modifica dei caratteri sessuali. In altri termini è consentito cambiare sesso “amministrativamente” soltanto dopo un intervento chirurgico.
E’ per questo motivo che ha fatto scalpore la recente sentenza del Tribunale di Messina, n° 2649 del 2014, che a firma del Giudice Corrado Bonanzinga ha ordinato all’ufficiale dell’anagrafe di Messina di procedere alla modifica del registro dell’anagrafe senza che il richiedente si sia sottoposto al previsto intervento chirurgico di modifica del sesso. Essa, pur non essendo la prima nel suo genere che in nome del diritto a una diversa identità di genere staccato dal sesso biologico ha previsto il cambio del sesso legale senza compiere l’operazione di adeguamento chirurgico, ha comunque dato un apporto rilevate alla discussione che in dottrina e giurisprudenza da tempo si è aperta in merito.
Nello stesso tempo bisogna precisare che questa Sentenza non è una norma giuridica e nel nostro caso non essendo neanche una Sentenza della Cassazione non può essere intesa neanche come principio di diritto applicabile in tutti i casi simili. Tanto è vero che il Tribunale di Vercelli ha respinto una richiesta analoga e lo stesso ha fatto il Tribunale di Trieste rigettando il ricorso di una ricercatrice di 47 anni e rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale per verificare se l’obbligo di un intervento chirurgico “non sia una grave e inammissibile limitazione al riconoscimento del diritto all’identità di genere».
Detto questo, la battaglia di civiltà continua e circa 50 mila Italiani che soffrono di disforia di genere, cioè non si riconoscono nel loro sesso di nascita, aspettano risposte chiare dal legislatore e le sentenze come quella di Messina possono aiutare a fare chiarezza. Una sentenza che si muove sul solco di un nuovo sentire e che sposa in pieno le tesi del Mit., il Movimento d’Identità Transessuale. Una sentenza che non si basa su aspirazioni o desideri ma che trova fondamento nella legge e nei principi dell’ordinamento giuridico e per questo diventa rilevante vedere le motivazioni che il Giudice ha usato per arrivare a questa decisione innovativa.
In questo senso e come noto il sesso anagrafico di una persona viene attribuito al memento della nascita in base ad un esame morfologico, per cui nell’atto di nascita si riporta il sesso del bambino facendo coincidere il sesso anagrafico con il sesso biologico. Tuttavia, dice il Giudice, possono verificarsi ipotesi nelle quali questa coincidenza non esista o venga a cessare. Casi in cui la componente psicologica si discosta da quella biologica e l’attribuzione di sesso diventa una “finzione”.
In questi casi, continua il giudice, sembra che il legislatore si sia preoccupato di tutelare l’affidamento dei terzi rispetto alle intervenute modificazioni sessuali che il soggetto trasporta nelle relazioni sociali. Si pensi a chi vende un bene come Mario Rossi e successivamente diventa Maria Rossi, l’atto di vendita firmato da Mario Rossi che fine fa? Ecco perché la legge prevede come via preferenziale quella della modica chirurgica del sesso per acconsentire alla modificazione del registro anagrafico e nel dare certezza all’affidamento dei terzi mantiene allo stesso tempo il principio di coincidenza tra il sesso anagrafico con il sesso biologico.
Ma la vera domanda da porsi non è quella relativa all’intervento chirurgico ma quella relativa all’ipotesi che vi siano altri e diversi indicatori sessuali che possano attestare l’avvenuto cambio di genere. Ed è in questo campo che la sentenza diventa innovativa, individuando nella modifica dei caratteri dell’Identità di genere i parametri sui quali prendere la decisione.
L’identità di genere, si legge nella motivazione, si compone del corpo, dell’auto percezione e del ruolo sociale, questo significa che non si può fare riferimento solo alla componente biologica, perché l’apparenza fisica non può essere disgiunta dalla percezione di se stesso e dalla relazione che l’individuo sviluppa con la società e con le norme comportamentali concernenti la sfera della sessualità. Sicché la linea interpretativa che considera l’intervento chirurgico come elemento essenziale della modifica di genere per certi aspetti è riduttiva.
Il fondamento giuridico di questa impostazione la Sentenza lo trova nell’art 2 della Costituzione che garantisce il diritto all’identità personale quale espressione della dignità del soggetto e del diritto di essere riconosciuti nell’ambito sociale di riferimento per quello che si è. Questo orientamento Costituzionale unitamente a tutta una serie di decisione prese sul tema dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea ha permesso di considerare sufficiente la terapia ormonale femminilizzante, e gli effetti modificativi dell’aspetto personale del richiedente che ne sono derivati, per affermare che si sono realizzate quelle “modificazioni” delle caratteristiche sessuali richieste dalla legge per acconsentire alla modifica del registro anagrafico.
Ma anche dal punto di vista psicologico le prove raccolte nel procedimento, con l’audizione di medici e psicologi, hanno attestato il mantenimento di un sufficiente equilibrio psicofisico ed una soddisfacente accettazione della propria condizione che ha consentito al richiedente di conservare con continuità le motivazione necessarie a raggiugere e mantenere nel tempo un aspetto femminile. Sicché anche dal punto di vista psicologico sussistono tutti gli elementi per ritenere che sia stata raggiunta la necessaria modificazione dei caratteri sessuali.
Concludendo, la Sentenza riconosce il diritto del ricorrente a vedersi cambiato il proprio nome maschile in uno femminile nel registro anagrafico del comune di residenza senza dover ricorrere all’intervento chirurgico del cambio di sesso biologico. Ritenendo sufficiente ad attestare il cambio delle caratteristiche sessuali del richiedente un idonea “terapia ormonale femminilizzante” e il percorso psicologico alla base dell’aspetto femminile assunto dal richiedente e della volontà di mantenerlo nel tempo.
Pietro Giunta