Dopo il successo dell’ultimo film, PIF torna nelle sale cinematografiche d’Italia. Con la sua nuova pellicola, l’attore palermitano torna a parlare di mafia e antistato, racconta una Sicilia tragicamente grottesca, fatta di chiaroscuri e contorni sin troppo sfumati. “In guerra per amore” si potrebbe persino considerare un prequel dei disastrosi anni Settanta, di Andreotti e Salvo Lima, dei voti di scambio e di una Palermo fatta di cemento e cartapesta: questa volta Pierfrancesco vola indietro nel tempo, sino al 1943 e precisamente sino allo sbarco degli americani in Sicilia. Nei panni di un imberbe e sprovveduto innamorato, s’imbatte nel compromesso, negli primi accordi sottobanco che segnano la nascita della mafia del dopoguerra.
“Volevo fare un film che parlasse dei partigiani, ma ho finito per parlare dello sbarco. Il motivo? Semplice, qui i partigiani non ci sono mai stati.” Così dichiara il regista, tra l’altro protagonista della vicenda. Eh già, in Sicilia dei partigiani neanche l’ombra: al loro posto, l’ascesa della malavita in politica. Un film in cui la storia di due giovani amanti si intreccia con quella del Meridione post-bellico, nato per divertire ma soprattutto per diffondere nuove consapevolezze. Ce ne parla Maurizio Marchetti, attore e collaboratore di Pierfrancesco. Già apparso ne “La mafia uccide solo d’estate”, Marchetti mostra di condividere e supportare la battaglia di PIF, volta prevalentemente a vincere una fra le maggiori nemiche della legalità: l’ignoranza.
A distanza di un paio d’anni, ecco che si ripresenta il sodalizio con PIF. Cosa vi ha spinto a collaborare anche questa volta?
“Sì, è vero: ancora una volta insieme. Durante le riprese del primo film abbiamo costruito insieme il mio personaggio, Jean Pierre. Dopo pochi mesi mi ha contattato per parlarmi del suo nuovo progetto, abbiamo discusso e ci siamo confrontati a lungo, alla fine è venuta fuori questa seconda opera. Andiamo molto d’accordo, abbiamo un modo simile di vedere la vita e persino di scherzare, dunque la cooperazione viene da sé.”
La prospettiva che PIF è in grado di offrire al grande pubblico è anche frutto delle sue esperienze pregresse, fra cui la conoscenza di personalità del calibro di Lirio Abbate. Credi che Pierfrancesco sia in grado di far comprendere quanto molti fenomeni in apparenza normali non siano altro che conseguenze di un atteggiamento mafioso radicato?
“Purtroppo no. Questo non possiamo pretenderlo, né da un regista né da un artista. Certo, magari può dare dei suggerimenti, ma non basta. Mi viene in mente in caso della serie tv trasmessa qualche tempo fa, “Il capo dei capi”: i più si sono straniti del fatto che riina non apparisse abbastanza cattivo. Eppure nella soap erano descritte tutte le stragi di cui è stato responsabile, direttamente e indirettamente. Allora qui il problema è nostro, della nostra cultura che non ci consente più di distinguere il bene dal male. Per dare una soluzione a questo problema ci vuole ben altro che un film.”
Torniamo alla trama e parliamo un po’ del tuo personaggio. Chi sarà questa volta Maurizio Marchetti?
“Il mio ruolo è quello di Don Calogero Russo, un personaggio fittizio, nato per coniugare due personalità realmente esistite, ovvero i due più noti capimafia degli anni Quaranta: calogero vizzini e genco russo. Pierfrancesco ha voluto dar vita ad una figura che racchiudesse le caratteristiche, anche fisiche, di entrambi ed è toccato a me impersonarlo. La vicenda si svolge a Crisafullo, un luogo immaginario ma non casuale: il sindaco è proprio Don Calò, scelto dagli americani, che ha potere di vita o di morte sugli abitanti del paese. È un personaggio particolare il mio, a tratti può persino far ridere, ma rimane comunque un presenza tragica.”
Proprio com’è tragica la storia determinata da questi personaggi…
“Esattamente. Uno fra i meriti del film è proprio quello di parlare di Storia, una Storia sempre taciuta ma determinante per l’Italia. Nessuno ci ha mai insegnato che lo sbarco degli alleati in Sicilia è stato cruento: siamo sempre stati portati ad immaginare questo momento come una grande festa paesana, ma non si è mai trattato di questo. Ci sono stati oltre tremila morti, guerriglie e bombardamenti, come è avvenuto nel corso delle giornate di Catania.
PIF ha tentato di spiegare quanto accaduto partendo da una storia d’amore, esattamente come ne “La mafia uccide solo d’estate”. Alla vicenda romantica si affiancano pagine di realtà vissuta dall’Italia intera, di cui tuttora non si parla abbastanza.”