È stata presentata venerdì scorso alla Camera dei Deputati la campagna “Sudan 365” che nel corso del 2010 vedrà impegnati migliaia di attivisti e celebrità della musica in eventi in almeno 15 stati in uno sforzo internazionale coordinato per lanciare un appello ai leader del mondo a prendere provvedimenti urgenti atti a prevenire il riaccendersi e il propagarsi del conflitto in Sudan. Gli eventi sono stati organizzati dalla coalizione di associazioni e gruppi, tra cui per l’Italia, Italians for Darfur, alla quale hanno aderito Amnesty International, Save Darfur, FIDH, Refugees Internatrional , Human Rights Watch, International Rescue Commettee, Darfur Consortium e Arab Coalition for Darfur ed è rilanciata in Italia da “Articolo 21” e da “Artisti socialmente utili”. L’impegno preso dalle associazioni di “Sudan 365” inizia a distanza di solo un anno dal referendum che deciderà il futuro del Sudan e che segnerà l’anniversario dei primi cinque anni del “Comprehensive Peace Agreement” (CPA), l’accordo di pace che pose fine alla guerra civile tra Nord e Sud del Sudan e che prevedeva proprio questo referendum. Sono molte e gravi le problematiche aperte ancora da risolvere che accendono la violenza interetnica nel Sud e generano continui attacchi ai civili in Darfur: c’è un rischio reale che il conflitto si riapra, destabilizzando l’intera regione e ponendo i civili in grave pericolo. “Stiamo assistendo da diversi mesi a un grave intensificarsi delle violenze interetniche nel Sud Sudan, mentre la crisi in Darfur continua e si aggrava ogni giorno di più” – ha ricordato Antonella Napoli. presidente di ‘Italians for Darfur’. “Basti pensare ai 5 Caschi blu uccisi in due diversi attacchi poche settimane fa. Il 2010 pone serie minacce ai diritti umani in Sudan che possono essere prevenute solo se i governi agiscono ora. Restano poco più di 365 giorni e una mole enorme di lavoro da fare prima che la grande conquista del’Accordo di pace comprensivo (Cpa) svanisca. Le autorità sudanesi e la comunità internazionale devono aumentare il loro impegno nel realizzare pienamente quel trattato e mantenere così la pace a cui ha portato con grandi difficoltà”. Proprio nei giorni scorsi almeno 140 persone sono rimaste uccise e 90 ferite nella remota regione Wunchuei dello stato di Warrap in battaglie tra due gruppi etnici in sud Sudan. Le Nazioni Unite hanno inviato nella regione un contingente di Caschi blu poichè la situazione è “di grande preoccupazione” per possibili ritorsioni. Secondo le Nazioni Unite, solo nell’ultimo anno sono stati più di duemila civili che hanno perso la vita negli scontri etnici nel Sud Sudan, precisando inoltre che da alcuni anni molte più persone muoiono in questa zona che regione nella regione del Darfur, oggetto di una maggiore attenzione da parte della comunità internazionale e dei media. Il nord e il sud del Sudan hanno combattuto una guerra civile per ventidue anni, durante la quale hanno trovato la morte più di un milione e mezzo di civili. Il conflitto si è concluso, almeno sulla carta, nel 2005 con l’Accordo di pace comprensivo (Cpa), ma la cui efficacia è stata più volte messa in discussione a causa di alcuni punti cruciali nel documento che non si sono ancora risolti. Il Governo del sud Sudan (Goss) possiede la maggior parte dei pozzi petroliferi e delle aree di esplorazione che fanno tanto gola al governo di Khartum e alle aziende petrolifere straniere, maggiormente rappresentate dalla Cina. Con le imminenti elezioni di aprile, e un referendum che l’anno prossimo stabilirà l’eventuale indipendenza del Goss, la pericolosa situazione attuale non sembra far sperare per il meglio. In un recente rapporto, dieci agenzie umanitarie internazionali hanno lanciato l’allarme riguardo alla forte possibilità di un ritorno alla guerra civile. In un rapporto pubblicato nei giorni scorsi da dieci organizzazioni umanitarie – tra cui Oxfam, Save the Children e World Vision – dal titolo “Rescuing the Peace in Southern Sudan” alla vigilia del quinto anniversario della firma dell’accordo di pace tra il Governo sudanese e il Movimento per la liberazione del Sudan (Splm) le ong hanno lanciato l’allarme riguardo alla forte possibilità di un ritorno alla guerra civile. “Non è ancora troppo tardi per evitare il disastro, ma i prossimi dodici mesi sono un banco di prova per il più grande Paese africano” – afferma il rapporto. Una preoccupazione condivisa dallo stesso Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che nei giorni scorsi nel quinto anninversario dell’accordo di pace ha chiesto a tutte le parti in causa di raddoppiare gli sforzi per portare a compimento il processo di pace. Per Paul Valentin, direttore di Christian Aid, una delle ong che hanno partecipato alla stesura del rapporto, “una nuova guerra non è inevitabile, ma tutto dipende dall’attenzione che la comunità internazionale saprà dimostrare”. Maya Mailer, co-autore del rapporto, spiega infatti che l’anno scorso si è registrata nel sud del Sudan una escalation di violenza che potrebbe proseguire e trasformarsi in una delle più gravi emergenze dell’Africa nel 2010. Secondo le agenzie umanitarie, l’anno scorso circa 2.500 persone sono state uccise e 350mila sono state costrette a fuggire dalle loro case. “La comunità internazionale, inclusa l’Italia, ha firmato l’Accordo di pace comprensivo (Cpa) pensando che la pace fosse compiuta, mentre invece eravamo solo l’inizio” -sottolinea ad Avvenire Benedetta de Alessi, analista della situazione sudanese. “La mancanza di attenzione negli ultimi cinque anni, sia dei sudanesi sia della comunità internazionale, ha favorito la drammatica realtà in cui si trova ora il Paese”. “Il popolo del Sudan ha sperimentato 22 anni di guerra civile – ha ricordato Antonella Napoli durante la presentazione della campagna ‘Sudan 365’ – e oggi si è sull’orlo di un nuovo conflitto. Riteniamo reale il rischio che l’accordo possa essere disatteso e che la tregua sia ‘rotta’, favorendo il ritorno della furia devastante della guerra, con disastrose conseguenze per il popolo del Sudan e per l’intera regione”. “Per questo chiediamo al nostro Governo – ha concluso il presidente di Italians for Darfur – testimone dell’attuazione dell’accordo del 2005, di produrre un intenso sforzo diplomatico nel prossimo anno, sfruttando i buoni rapporti sia politici sia commerciali con il Sudan, per chiedere il rispetto di quel trattato garantendo così il mantenimento della pace
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