Qualche giorno fa, esattamente lo scorso 22 aprile, sono trascorsi 238 giorni dalla morte di Ebru Timtik, gli stessi giorni durante i quali, l’avvocato e attivista turca, ha rifiutato di nutrirsi.
È morta di fame Ebru, in nome della Giustizia, per chiedere un processo equo, perché un Tribunale Turco aveva inflitto a lei e ad altri 17 avvocati, una condanna a tredici anni e sei mesi di carcere per il presunto reato di terrorismo, all’esito di un processo iniquo e ingiusto.
Ebru Timtik faceva parte dell’Associazione contemporanea degli avvocati, e difendeva gli imputati di casi politicamente delicati. Fu accusata dal regime turco di essere legata all’organizzazione marxista-leninista radicale Dhkp-C e fu definita “terrorista” da Ankara. Timtik aveva difeso la famiglia di Berkin Elvan, un giovane attivista morto nel 2014 a causa delle ferite riportate durante gli scontri innescati dal regime per la repressione delle proteste di Gezi Park.
Dopo essere stata trasferita con la forza in un ospedale di Istanbul, perché il suo corpo era ormai ridotto a soli 30 kg, il Tribunale di Istanbul prima e la Corte Costituzionale dopo, nonostante un referto medico indicasse che il suo stato di salute non le permetteva più di restare in carcere, hanno respinto la sua richiesta di rilascio sostenendo che la sua vita “non era in pericolo”.
La notizia della sua morte, che ha sconvolto il mondo intero, è stata data con un tweet dallo Studio Legale presso il quale esercitava la professione: “Ebru Timtik, socia del nostro studio, è morta da martire”.
Il suo senso di giustizia è stato più forte della sua stessa vita, un gesto di grande coraggio quello di Ebru Timtik, che lascia in tutti noi, una grande lezione di vita.
Giovanni Villari
*Componente della Commissione Diritti Umani del Consiglio Nazionale Forense, Membro effettivo dello Human Rights Committee del CCBE