Quante volte le avete sentite queste parole? Ormai scappa quasi da ridere. Una volta ogni due tre mesi il Premier esce fuori con la sua barzelletta più riuscita, che, per questo, si ostina a riproporre ad oltranza ogni qualvolta che i sorrisi degli elettori tendono a scemare.
C’è Premier e Premier però, e se non passassimo ogni momento a convincerci che siamo un Paese civile e democratico, potremmo addirittura renderci conto che siamo fortunati, che – barzellette, bunga bunga e processi a parte – , guardando un qualsiasi planisfero, a circa un dito di distanza dalla nostra bella penisola, c’è una guerra, c’è lo sterminio di un popolo. È stato completato con una velocità incredibile il processo di assimilazione passiva da parte dei cittadini italiani nei confronti di ciò che avviene in Libia, forse grazie alla sempre crescente capacità dei mass media di veicolare i temi d’interesse generale degli spettatori, e – soprattutto – del vuoto della ragione all’interno del quale ci siamo ridotti a comunicare, per colpa essenzialmente nostra. Oramai è un’abitudine accendere il televisore ed ascoltare le ultime notizie dal fronte libico. Ed è proprio su questo agire routiniero che si accomoderà il “culo flaccido” dei governi occidentali, con le loro bugie e loro mistificazioni. Con le fialette piene di potenziali armi batteriologiche tra le mani – non so se ricordate Colin Powell alla vigilia delle “operazioni” in Iraq. Accendere e spegnere il televisore, è l’ultimo atto che questa democrazia consumata ci chiede di compiere per tenerla in vita, e noi lo facciamo con la dovuta rassegnazione oramai. Ogni tanto, a rompere la monotonia dell’evento, però, appare il solito faccino tirato e sorridente che annuncia: «ed ora le riforme!».
Non sospettavamo minimamente – almeno per quel che mi riguarda – che questa frase che l’Italia ha imparato a conoscere e ad amare, diventasse in pochi giorni il maggior vanto del Made in Italy all’estero. Non lo sospettavamo, eppure, quella che abbiamo visto sparare tale colpo a bruciapelo dalle tv dritto dritto nelle nostre orecchie in questi giorni, non era la faccia in scatola del nostro Presidente del Consiglio, bensì quella di Ibrahim Mussa, portavoce del Governo libico. Prima di lui ci aveva pensato Saif al-Islam a farci vibrare un po’ i lobi, ma adesso la conferma della linea politica del ra’īs ci coglie alquanto impreparati. Avrà forse deciso il Cav di “disturbare” finalmente il vecchio amico per suggerirgli una nuova strategia? Difficile davvero crederlo, data soprattutto l’aria di divorzio che si respira fra questi due Paesi, aria che l’esecutivo italiano – pur non facendo alcunché – continua a saturare. Ma anni di barzellette certamente avranno ottenuto qualche risultato! E così, in questi primi giorni di Aprile, mentre la nuvola “buona” che arriva dal Giappone si avvicina inesorabilmente, e gli aerei francesi hanno trovato in Costa d’Avorio la nuova pallina antistress per i propri missili, il governo libico, la Jamāhīriyya di Mu’ammar Gheddafi, si apre ancora al dialogo con i ribelli, mentre i mercenari africani ammazzano gli stessi “ribelli” (e col termine ribelli si intende includere anche i bambini, le madri, i vecchi, le donne incinta e chiunque capiti sotto il tiro delle mitragliatrici russe) e difendono un regime che oggi si poggia sugli stecchini, calpestano sangue ed asfalto con i loro suv equipaggiati ad hoc con le armi che arrivano anche dall’Europa occidentale. Per 30mila dollari a testa – afferma Bashir Mohammad, cittadino del Ciad, alla tv al-Aan – per fare una strage. Per riportare l’ordine all’interno dello Stato libico. Ed ora le riforme!
«Il capo non ha alcun incarico ufficiale da cui dimettersi. Ha un valore simbolico per il popolo libico. Come viene governata la Libia è un’altra questione […] quale sistema politico applicare nel paese? Questo è negoziabile. Possiamo parlarne. Possiamo avere tutto, elezioni, referendum, qualsiasi cosa. Ma il capo è la valvola di sicurezza per il Paese e per l’unità della popolazione e delle tribù. Pensiamo sia molto importante per guidare qualsiasi transizione verso un modello democratico e trasparente». Ed ora le riforme!
Ma quanti morti ha fatto Gheddafi dal 1969 ad oggi? Quanti ne ha fatti soltanto da Gennaio a Marzo? Quanti ne sta facendo in questi giorni? Un numero certo è impossibile da farsi, ma le fosse comuni in spiaggia gridano ancora vendetta nei confronti del tiranno, e fuma ancora il sangue di Misurata in un Paese che vorrebbe vivere a pieno la propria Primavera. Ora le riforme dicono. Il Viceministro degli Esteri libico al-Obeidi salta qua e là fra Ankara, Atene e La Valletta, con le proposte di negoziato. E anche pronto ad andare via il colonnello, lasciando la fase di transizione al figlio “moderato” – la cui moderatezza è stata saggiata dal popolo libico tutto, prima in piazza ed ora in guerra – Saif al-Islam, che è già pronto a dire: «ed ora le riforme!». Ma il dado è tratto. La cosa è evidente, dato che persino il cauto Fantoccio degli Esteri Franco Frattini oramai non esita più a condannare quella chiama «strage nelle città». Lui, Franco, che in uno slancio di vecchio orgoglio socialista, afferma: «Basta privilegiare la stabilità di un governo dittatoriale piuttosto che il dialogo sincero sui grandi valori: l’Europa ha fatto tanti errori, li abbiamo fatti tutti noi per lunghi anni, ma questa primavera di rivoluzioni che sta attraversando il mondo arabo ha aperto gli occhi al mondo intero».
Tanto aperti che l’Europa si rifiuta di prendersi carico dell’accoglienza dei migranti nordafricani, e l’Italia non è in grado di chiarire la sua politica al riguardo, mentre le navi della Marina militare sono continuamente dirottate dagli ordini di uno Stato Maggiore confuso come il suo Ministro della Difesa quando entra nelle aule del Parlamento. Intanto le insistenze “italiane” si sono fatte valere nell’ambito dell’intervento, e il comando dell’azione di guerra in Libia è passato alla Nato. Una Nato che, con la sua interpretazione ristretta dei comandi Onu, è quasi capace di far rimpiangere la guida francese delle azioni militari, che “sforava” la direttiva delle Nazioni Unite. Dal 31 Marzo – data di inizio del controllo Nato delle “operazioni” – i raid aerei contro l’apparato bellico di Gheddafi sono precipitosamente crollati nel numero e negli effetti, e avvengono «a volte 6 o 7 ore dopo» rispetto a quando sarebbe necessario, affermano i ribelli. In compenso aumentano gli “errori” e gli attacchi “per sbaglio” alle forze rivoluzionarie. Nei giorni scorsi la stessa flotta Nato ha bloccato delle imbarcazioni ribelli che portavano aiuti ed armi alla città di Misurata, dove i cosiddetti “lealisti” continuano da settimane a massacrare senza tregua – e senza disturbo – la popolazione civile. E tale linea “diplomatica” della Nato comincia ad avere i suoi effetti, facendo costantemente perdere grosse porzioni di terreno a tutti quei giovani che hanno sperato – e sperano – in una Libia libera e democratica. Il CNT – il Consiglio Nazionale di Transizione libico – ha già reso nota la sua posizione al riguardo, nelle parole di Abdel Fattah Younes: «La Nato ci omaggia di tanto in tanto con bombardamenti qua e là, e sta lasciando che la gente di Misurata muoia ogni giorno. Ci ha deluso […] La Nato è diventata un nostro problema». Non di Gheddafi.
Scopriremo col passare dei giorni qual è il gioco della Nato, che temporeggia aspettando un vero e proprio miracolo diplomatico, mentre Misurata è la prima città a cadere. Intanto qualcuno si illude di far cascare la popolazione nella trappola delle “riforme”, mentre i mortai fanno il loro solito lavoro. Il destino della Libia è sempre più nelle mani degli oscuri meccanismi della diplomazia occidentale, che non ha perso la vecchia facoltà di fare sempre più vittime che sopravvissuti