Giorni fa, a Norcia, mi sono trovato a spulciare su una bancarella di libri usati e lì ho trovato una chiccha: un saggio storico di Maria Antonietta Macciocchi (Cara Eleonora, Rizzoli, 1993).
C’è, nella nostra storia, una stagione splendida e negletta – la rivoluzione napoletana del ‘99. I moti riformatori, ispirati dalle idee illuministiche d’oltralpe, trovano un buon terreno di coltura nelle grandi correnti di pensiero di cui si nutre l’intelligenza napoletana dalla prima metà del Settecento, le correnti che fanno capo a Vico, a Pietro Giannone, e Antonio Genovesi. Tra i nuovi giacobini, insieme a uomini come Gaetano Filangeri, Mario Pagano e Francescantonio Grimaldi, troviamo una donna: Eleonora de Fonseca Pimentel, nobile portoghese, napoletana d’adozione, poetessa e giornalista. Il bel saggio delle Macciocchi parla di lei: è un libro che poggia su una ricerca seria e appassionata eppure col ritmo del buon romanzo storico: di Eleonora ha ricostruito il pensiero e l’azione ma anche le emozioni, i turbamenti, le inquietudini, i dubbi, mentre sullo sfondo emerge la Napoli del tardo Settecento, con le sue contraddizioni, con i “Lazzari”, con un sistema politico violento ed un sistema sociale violentato, eppure una Napoli aperta ai lumi e nient’affatto separata dai circuiti intellettuali di Parigi e della mitteleuropa.
E poi – è vero – anch’io amo Eleonora, e d’un amore giovanile. Anch’io, come pochissimi fortunati, possiedo ed amo feticisticamente quella prima ed unica edizione di cui parla la Macciocchi nella prefazione (Eleonora de Fonseca Pimentel, il Monitore Repubblicano del 1799, a cura di Benedetto Croce, Gius. Laterza & Figli Tipografi-Editori-Librai, BMC No.382, Bari 1943, XXI). Non mi risulta che dopo il 1943 si sia pubblicato alcunchè sulla de Fonseca, se non un bel romanzo storico – Il resto di niente di Enzo Striano – nel 1986 da un piccolo editore napoletano. Singolare tepidezza nei confronti di questa splendida figura. La ragione storica – dice la Macciocchi – consisterebbe nel suo essere personaggio tanto superiore da mettere in ombra molti eminenti uomini del suo tempo: ardua impresa per la storiografia d’un paese maschilista come il nostro. Ma cinquanta anni di silenzio sono tanti, anche per quest’Italia becera e volgare che nel frattempo si andava arricchendo all’ombra dei nuovi briganti, quelli di turno. La cara, bella, Eleonora muore per mano del boia pronunciando un verso di Virgilio, forsan et haec olim meminisse iuvabit.
Sarebbe bello esserci, quel giorno.