le conviene lasciare la sua terra o in ogni caso non vivere li e se va a svolgere i suoi lavori agricoli si faccia accompagnare da tanta gente…lei è indifendibile
Come il contadino che guarda il proprio raccolto, Emanuele Feltri deve guardarsi dalla mafia. Sembra una storia tipica della tradizione cinematografica, ma non lo è. Succede in Sicilia, a Paternò, dove l’imprenditore gestisce una piccola azienda agricola che produce prodotti biologici.
La sopraffazione della mafia da qualche tempo non gli dà tregua. Infatti, a poco a poco quasi tutti gli animali della sua azienda sono stati ammazzati. Il messaggio è chiaro e non lascia spazio a interpretazioni. Tuttavia Emanuele, non ha ceduto alla paura, e ha deciso di restare nella sua terra rispondendo al potere del malaffare con parole coraggiose: “Il mio fucile è la parola, il mio pensiero è la mia idea”. La Sicilia poi è una terra che risente doppiamente del peso della crisi e lo sa benissimo anche il giovane imprenditore che ha deciso di cimentarsi in un settore, quello agricolo, abbandonato da tutti: “Il lavoro delle campagne è duro, non ha grandi prospettive in questo momento sull’agricoltura tradizionale e spesso si preferisce cercare altri sbocchi. Io sono un perito agrario, in questi anni ho viaggiato molto e ho avuto la possibilità di conoscere dei ragazzi che si occupano del settore biologico. Chi vuole fare impresa in Sicilia deve scontrarsi con un terreno difficile. Io avevo un agrumeto a Scordia non pagavo nulla e mi è stato incendiato l’agrumeto. Facendo il mio lavoro con onestà ho sempre ricevuto segnali pesanti. Chi lavora e non vuole allacciarsi a certe dinamiche si scontra con tante difficoltà”.
L’ottica di uno sviluppo ecosostenibile e di un’azienda multifunzionale abbraccia un mercato florido che va incoraggiato. Emanuele però ha le idee chiare su chi è e sulla strada che vuole percorrere: “Non hanno fatto i conti con la persona che si trovano davanti. Sono lucido e consapevole sul cosa sto rischiando. Ci tengo a precisare che non si tratta di uno scontro tra pastori, come molti hanno detto. Io non sono un pastore. La vicenda purtroppo tocca equilibri più importanti e collusioni a vari livelli. Io credo di camminare nel giusto e tutto quello che ho portato avanti nella mia vita l’ho fatto perseguendo la difesa di un mio diritto, quindi più mi attaccano e più sono consapevole delle difficoltà, legate in questo momento alla mia incolumità fisica. Io non mi fermo, vado avanti”.
In conclusione all’intervista l’imprenditore ha parlato della solidarietà che la società civile sta mostrando anche se non è mancata qualche parola di biasimo verso le forze dell’ordine: “La gente continua a sostenermi. Sento forte la solidarietà del mio vicino di campagna, il vecchietto ottantenne che aiuto ogni tanto nei lavoretti. L’altro giorno mi ha portato una bottiglia di vino per mostrarmi la sua solidarietà e abbiamo riso e scherzato su quello che è successo. Mi fa piacere comunque ricevere la solidarietà del settore agricolo perché questa faccenda ci lega nelle problematiche radicate nel territorio. Per quanto riguarda le forze dell’ordine mi è stato detto che io sono indifendibile e che sarebbe meglio che io lasciassi il posto, perché non è possibile garantire la mia protezione a nessun livello. Io non accetto queste condizioni . E’ inconcepibile, ma è la cruda realtà. Non possono lasciami da solo”.
Emanuele Feltri rappresenta la forza sana della società civile, quella che non vuole arrendersi alla rappresaglia criminale, da qualche tempo lotta affinché l’economia depressa del sud non venga uccisa due volte: dallo stato di crisi economica perenne e da uno Stato che mette in moto ancora una volta, – come è successo più volte nella storia- il meccanismo della sottovalutazione, del diniego e della rassegnazione.