Parlare di azioni di contrasto alle nuove povertà e più in genere di politiche sociali, significa ragionare sulle sfide dell’altruismo da un lato, gratuito e spesso anonimo di migliaia di operatori del volontariato e dall’altro sulle scelte più propriamente politiche circa i servizi sociali intergrati nel territorio, a cui tanto si fa cenno in questo periodo di forte crisi economica e sociale.
Qualche dato. In Italia ci sono oltre due milioni e mezzo di famiglie che non possono spendere più di 900 euro al mese – è il cosiddetto indice di «povertà relativa» – e addirittura un milione e 162mila classificate secondo gli indici della «povertà assoluta». Si tratta cioè di persone che hanno a disposizione meno di 680 euro al Nord e meno di 512 al Sud. Insomma, tra “quasi” poveri e poveri conclamati, siamo al di sopra dei 10 milioni di persone. Secondo quanto riferisce l’ultimo dossier Istat questa cifra negli ultimi anni risulta in lieve, ma costante aumento. Ma esistono situazioni, circostanze, difficoltà che aprono la strada alle nuove povertà?
E’ assai diffuso il pensiero politico che al Welfare State (letteralmente “Stato del benessere” ed in generale Stato sociale) vada impresso un nuovo corso che concili l’iniziativa privata e il supporto pubblico sulla base di una vera e propria organizzazione sistematica della reciprocità. Prendendo da subito le distanze dalla panacea di tutto protrattasi per decenni ovvero il mero assistenzialismo, è opportuno dire però che il decentramento dei poteri d’iniziativa sociale agli enti locali ha prodotto forti disuguaglianze a seconda delle politiche sociali attuate nelle singole regioni e comuni. Messina, per fare un esempio, stanzia nella media una parte minimale rispetto a quanto la città di Padova destina alle politiche socio-assistenziali per i propri cittadini. Dato allarmante soprattutto in un contesto che mette su piani diversi centro e periferie.
Da punto di vista sociologico è condivisa l’analisi che la coesione societaria tende a dissolversi in periodi di crisi come questo in cui alcune visioni politiche della società teorizzano e praticano l’individualismo esasperato, lasciando spesso i meno “attrezzati”, i nuclei e le famiglie meno abbienti, senza risposte alternative di aiuto e nello specifico di sostegno economico attraverso vaucher e bonus vari. Un merito del decentramento delle funzioni nel campo sociale va comunque ripreso. Alla pioggia indifferenziata di risorse ai Comuni e alle Regioni da parte del Governo centrale, si è passati in alcuni contesti a forme innovative di solidarietà sociale. Sul piano politico ed economico, sono diverse le esperienze sul territorio a favore della sussidiarietà tra amministrazioni locali e Terzo settore.
Sono, infatti, sempre più diffusi modelli di cooperazione tra azione politica e no profit. Tra tutti, il modello Trentino ovvero l’alleanza tra enti pubblici, famiglia ed enti no profit per piani di sviluppo concreti nel territorio, diventa modello a cui ispirarsi per una compiuta politica sociale della reciprocità. Ecco perché a situazioni limite, molto diffuse nel nostro amato Meridione, potrebbero aprirsi nuovi orizzonti per invertire la triste tendenza al ribasso a cui con profondo rammarico assistiamo. Tuttavia alle buone pratiche a livello locale, nonostante una spinta maggioritaria senza precedenti di associazioni e movimenti di famiglie numerose, non si è riusciti a far avviare in sede nazionale una riforma del sistema sociale e fiscale a favore di categorie sensibili al rischio povertà.
L’offerta di sussidio da parte delle Istituzioni rimane comunque la via entro cui sviluppare nuove forme di corresponsabilità tra enti locali che erogano le risorse e le realtà sociali che traducono le stesse in assistenza. La redistribuzione da più parti auspicata, delle ricchezze prodotte dalla comunità nazionale verso gli ultimi poi, non riguarda solo la coscienza dei cristiani o dei più progressisti in campo politico ma va incontro ad un mutamento dei rapporti globali in cui cambiano le cause dell’incertezza umana: aumentano le disparità sociali, aumenta il divario tra le zone del Paese, si assiste ad un’emergenza sociale ancora più grave che spesso coincide col mancato riconoscimento dello stesso principio della fraternità alla base dell’unità statale. Sullo sfondo la nota elusa della sussidiarietà a cui sia la Dottrina sociale della Chiesa che la stessa Carta Costituzionale italiana, dedicano attenzione.
E’ chiaro che accanto alle risorse strumentali è necessario che in Italia venga ritrovata una nuova vocazione all’altruismo.
Occorre quindi far perno su un’educazione al sociale di quanti si adoperano per l’aiuto e il volontariato. Una vera e propria scelta vocazionale nel farsi “prossimo” dei soggetti svantaggiati, perché al servizio segua, ad esempio, il reinserimento sociale, percorso ancora non del tutto favorito dagli attuali sistemi assistenziali. Una nuova responsabilità sociale quindi, è richiesta anche da parte del legislatore perché ottemperi alle innumerevoli istanze da più parti sollecitate, affinché si sviluppino reti e “alleanze sociali” che mettano al centro la Persona e di conseguenza favorendo una politica tributaria fondata sulla progressività fiscale, fino ad un sostegno incisivo ai redditi medio-bassi tanto più con riferimento ai lavoratori precari.
In contrapposizione alle spinte individualistiche, l’altruismo rimane l’unico elemento che distingue l’azione interessata da quella disinteressata. La riforma del titolo V della Costituzione italiana ha introdotto il concetto di sussidiarietà sia verticale sia orizzontale. Il tema del federalismo – argomento forte in campo amministrativo e ragione politica per sempre più numerose formazioni partitiche nell’Italia regionalista (Leghe territoriali e movimenti autonomisti) – se non ispirato alla virtuosità, alla responsabilità e alla solidarietà, rischia di lasciarsi dominare dall’egoismo privato che si traduce anche nella disparità di trattamento tra cittadini di diverse regioni d’Italia, trattamento che incide soprattutto nel diritto alla cura, alla salute e al miglioramento del proprio stato di vita.
Una considerazione. La povertà ha i volti e le storie di uomini e donne che si incontrano nelle mense affollate delle comunità religiose e della Caritas, dei centri di accoglienza alla vita e nelle case di tanta brava gente. La povertà ha la dignità di chi chiede una nuova possibilità dopo aver perso il posto di lavoro a seguito di scelte aziendali discutibili. La povertà è anche lo stato di vita dei non autosufficienti, numerosi nelle nostre città che ai servizi sociali preferiscono di gran lunga, il riconoscimento vero della comunità. La povertà è una famiglia numerosa che non cerca assegni o scorciatoie per non pagare il proprio contributo alla comunità ma che vuole diventare soggetto protagonista nel rinnovo e nella crescita della comunità civile, con la garanzia di una vita serena per i propri figli, figli di cui l’Italia ha bisogno ma che le politiche familiari ad oggi hanno solo dato pacche sulle spalle per il coraggio dimostrato dalle stesse famiglie nel procreare ma soprattutto per aver inciso sul mero dato numerico del sistema Paese. La povertà, infine, è la richiesta d’aiuto di anziani soli, disabili mentali, schiavi dell’alcool, ex carcerati, ex tossici, clochard e di tante persone che hanno perso la propria famiglia perché anche i separati rientrano nella categoria dei nuovi indigenti.
Ecco perché, la reciprocità diventa non solo l’antidoto all’isolamento ma conferma un fattore sociale e cristiano di cui farci carico: l’Io si completa necessariamente attraverso gli altri. L’emergenza troverà persone di buona volontà, così come per la strada anche in Parlamento e nell’amministrazione delle nostre città?