Enrico Colajanni: si vuole azzerare l’antimafia sociale

Dopo un mese e mezzo di digiuno contro la cancellazione dall’albo prefettizio di Libero Futuro, il fondatore dell’associazione antiracket Enrico Colajanni interrompe la protesta ma specifica: la lotta continua.

Libero Futuro Bagheria,
LiberJato Partinico, Libero Futuro Palermo e LiberoCastelvetrano. Sono queste
le quattro associazioni antiracket interdette dalla Prefettura di Palermo tra
il 2017 e il 2018. Dietro la cancellazione
dall’albo prefettizio, accuse gravi d’infiltrazioni mafiose derivate dalla
presenza all’interno delle associazioni d’imprenditori definiti “border
line” con interessi nel business delle associazioni antiracket. 

Un mese e mezzo fa, Enrico Colajanni, tra i fondatori di Libero Futuro, ha iniziato uno
sciopero della fame per richiamare l’attenzione su quello che definisce un
abuso delle interdittive, denunciando le
gravi contraddizioni dell’azione istituzionale antimafia.  Dopo essere stato ascoltato dalla Commissione Antimafia
Nazionale a Roma, con Nicola Clemenza attuale vicepresidente della rete
NOMAFIE, interrompe lo sciopero ma specifica “continueremo a lottare”. 

La sua posizione è chiara: “Se stiamo zitti, siamo
complici”.

Il quadro che ci
fornisce nel corso di un’intervista telefonica e che ha presentato nel corso
dell’audizione in Commissione è, infatti, quello di una vicenda complessa basata
sul sospetto e animata dall’ambiguità, dove “a farne le spese è soltanto
l’antimafia sociale”.

«In Commissione antimafia
– spiega Colajanni – abbiamo discusso di una situazione che va oltre i singoli
casi delle nostre associazioni. Il nodo è lo strumento delle interdittive
antimafia che se usato in maniera sbagliata può produrre danni enormi. S’ingigantiscono
i poteri di funzionari dello Stato come il Prefetto, che si sostituisce
all’autorità legislativa da un lato e a quella giudiziaria dall’altra.  D’altro canto un certo numero d’imprenditori,
lodati nelle sentenze, risarciti, riconosciuti vittime, finisce paradossalmente
sottoposto a misure di prevenzione con tutte le conseguenze del caso. Imprenditori
messi in ginocchio sulla base di sospetti e non di prove. C’è chi ha perso
appalti da ottocento milioni di euro, credo avrebbe preferito tre anni di
galera».

Secondo il fondatore di
Libero Futuro si starebbe creando una sorta di “secondo sistema
giudiziario parallelo e sommario”. Una preoccupazione che sembra non
appartenere solo alle associazioni bandite. A sostegno della sua tesi Colajanni
cita una serie di provvedimenti: «Una sentenza del CGA siciliano rispetto a un
provvedimento interdittivo della prefettura di Agrigento a un certo punto dice
che seguendo questo metodo “si finisce per innescare meccanismi perversi
dei quali potrebbero finire per beneficiare, paradossalmente, gli stessi gruppi
criminali; se fosse possibile qualificare “mafioso” un soggetto sulla
scorta di meri sospetti si perverrebbe ad un aberrante meccanismo di estensione
a catena della pericolosità simile a quella su cui si fondava l’inquisizione
medievale… la mera frequentazione di un presunto mafioso non
può determinare il contagio; altrimenti si
determinerebbe una catena infinita di presunzioni atte a colpire un numero
enorme di soggetti con instaurazione di un regime di
polizia”». 

Il pericolo secondo
Colajanni è che l’uso indiscriminato di questo strumento finisca per azzerare l’antimafia
sociale. Come? «Una riflessione del Presidente del
TAR di Catanzaro Nicola Durante,
spiega che nel passaggio dalla
teoria ai fatti, si registra un cortocircuito, causato da un particolare
fenomeno “l’eterogenesi dei fini” per cui, nonostante siano state
dichiarate determinate finalità da raggiungere, vengono in realtà conseguiti
risultati opposti». In pratica – conclude Colajanni – si finisce per fare
“morti tra i civili”.

Sulla questione spinosa
legata al presunto “business delle associazioni antimafia”, inoltre,
risponde amareggiato: «Forse è diventato uno sport nazionale buttare all’aria
l’antimafia.  Da noi non c’è nessun
business. Basta guardare il nostro conto corrente. Non abbiamo alcuna forma di
finanziamento. Da dodici anni faccio parte di Libero Futuro e non ho mai
chiesto un rimborso. E se ci si riferisce alla questione beni confiscati e sequestrati,
quello è solo un’altra storia di fallimenti. Prendiamo il caso della cooperativa SpazioLibero
Community
, nel territorio di
Castellammare, nata con la finalità di aiutare lo Stato nella gestione dei beni
sequestrati e confiscati. Nel 2015 la cooperativa ha ricevuto in affitto, da un
amministratore giudiziario, due ville. Dopo tre anni di lavoro e la confisca
definitiva, è arrivato l’avviso di sfratto. La cooperativa è stata di fatto
espropriata dei soldi investiti e il mafioso guarda e dice “li
hanno cacciati via da casa mia”».

La palla passa dunque alla Commissione nazionale antimafia che ha richiesto a Enrico Colajanni e Nicola Clemenza una documentazione precisa di quanto esposto, soprattutto dopo la forte posizione di denuncia assunta dai due rappresentanti delle associazioni antiracket che Colajanni rileva e ribadisce: «Sembra che qualcuno abbia deciso che bisogna farla fuori tutta l’antimafia. Ma se tutta l’antimafia fa schifo, nessuno fa schifo. Da noi non c’è un solo inquisito. Dall’altro lato ci sono i casi Saguto e Montante.

Che l’antimafia sociale finisca interessa solo ai mafiosi e quindi è un grave errore e una grave colpa  di chi sta favorendo questo percorso. Noi abbiamo deciso di resistere. Questo abbiamo detto in Commissione. Non so cosa decideranno ma molto probabilmente partirà un’inchiesta. Spero che si arrivi comunque a un risultato perché al momento hanno azzerato il movimento antiracket e antimafia in Sicilia occidentale.

Chi rimane sul territorio? In questa situazione di vuoto chi denuncerà?».