Ente Fiera; metafora di una città

Provate a chiedere ad un messinese qualunque di descrivere l’estate cittadina e lui dirà solo tre parole: mare, Vara e Fiera. Il mare è qualcosa di profondamente ancorato nell’anima di ogni abitante dello Stretto, con le sue correnti, l’acqua gelida in certi punti e calda in molti altri, sporca o limpida a seconda delle giornata ma sempre piena di persone intente a rilassarsi e rinfrescarsi. La Vara è la manifestazione cittadina per eccellenza, un orgoglio per tutti coloro che “scendono” al Duomo per vedere la processione e assistere allo spettacolo pirotecnico di mezzanotte. Non è Ferragosto senza la Vara e nonostante ogni anno ci sia sempre troppa gente, ci si lamenti per gli spazi, per i parcheggi, per le camminate infinite e per il caldo asfissiante, tradizione vuole che tutti siano ugualmente in giro per vedere i tiratori trainare sull’asfalto la gigantesca statua alta più di 13 metri, piena di angeli e immagini sacre. E poi, a chiudere il trittico sopra descritto, c’è la Fiera.

Il rapporto tra città e Fiera Campionaria, però, è molto più complicato rispetto a quello esposto relativamente agli altri due elementi. Si tratta, infatti, di un legame strano, ambivalente, fatto da un lato di luoghi comuni e frasi del tipo “non andare in Fiera, non ne vale la pena”, “quand’ero piccolo sì che la Fiera era bella”, “non c’è niente, le solite cose, sono soldi sprecati”, ovviamente proferite in dialetto e molte volte nell’arco di tempo che va dall’apertura dei cancelli alla chiusura di Ferragosto, e dall’altro, come vale per la processione della Vara, tutti i cittadini vanno a visitarla, comprano, girano gli stand, mangiano e portano i figli ai giochi, perché alla Fiera tutti sono legati, in un modo o nell’altro. È un’istituzione, parte della storia cittadina, qualcosa che ha portato nel mondo il nome della nostra città e che ogni estate si affaccia sullo Stretto a suon di stand, spettacoli e manifestazioni culturali in grado di animare una Messina perennemente addormentata nonostante la stagione estiva. La Fiera è tutto questo e tanto altro, nonostante ciò che si dice e soprattutto ciò che si fa.

D’altro canto però, bisogna porre l’accento su un aspetto che probabilmente la maggioranza della popolazione dimentica: l’Ente Fiera non è in funzione soltanto 15 giorni l’anno. È così, durante il corso dell’anno numerosi dipendenti lavorano all’interno degli uffici del quartiere fieristico, quell’immensa superficie di asfalto e capannoni che sta dietro i cancelli chiusi della Fiera e che viene costantemente ignorata da automobilisti e passanti vari. È un “gigante che dorme”, una splendida opportunità di rilancio e rinascita lasciata a marcire in riva al mare senza che nessuno, Comune, Provincia e vertici istituzionali di varie carature, faccia nulla per aiutare l’Ente, sprofondato in condizioni di profondo declino per la mancanza di fondi tanto da lasciare i propri impiegati senza stipendi da ben cinque mesi, quasi sei. Un’altra categoria di lavoratori onesti che faticano ad arrivare a fine mese, schiacciati da una crisi devastante e da una città ormai al collasso, amministrata male e lasciata al suo destino mentre chi di dovere è più occupato a salvare le proprie poltrone piuttosto che a pensare al bene dei cittadini che lo hanno eletto.

Quale può essere il futuro della Fiera e di lavoratori che hanno speso una vita intera per lavorare al suo interno? Come può essere svegliato questo gigante e tornare ai fasti di un tempo, per essere trasformato da monumento alla storia messinese a rampa di lancio per una pronta resurrezione della nostra città? Certo non così. Non lasciando senza stipendio queste persone, non abbandonando un Ente che lotta per farsi spazio e cerca di risollevare la situazione da solo, nonostante l’assenza di soldi e il mancato sostegno istituzionale, non proponendo lo spostamento in altre zone della città, più grandi ma da riqualificare totalmente prima di un possibile trasferimento, non promettendo soluzioni che mai verranno attuate. Bisognerebbe semplicemente ripartire a fare i propri doveri, a svolgere attivamente il proprio lavoro ai vertici per aiutare e dare il giusto salario a chi il proprio lavoro lo porta avanti ogni giorno, con sacrifici infiniti ma sempre con il sorriso sulle labbra. E sì, anche senza stipendio.