Il mare lo ha visto nascere e adesso è testimone di quelle «riflessioni», come le chiama lui, che gli hanno fatto vincere concorsi di poesia in tutta Italia. Enzo Billeci è un pescatore di Lampedusa di 52 anni e da oltre 40 vive a stretto contatto col mare. «Quando ero in prima media facevo i compiti a bordo del peschereccio – racconta Enzo – e da allora questa è la mia vita». Voce squillante e spirito forte, Enzo racconta che le parole gli nascono dentro dal quotidiano, per poi rimanere fissate fino a quando un attimo di “riposo” gli consentono di tirarle fuori. «Nel giro di dieci minuti vengon fuori le parole – ci racconta ridacchiando Enzo Billeci -. Ma non mi piace chiamarle poesie. Si tratta di riflessioni spontanee ed immediate che nascono dall’osservare ciò che ci circonda: il mare, le cale, i turisti che arrivano sull’isola. A volte anche la politica locale ed i piccoli scontri regalano ispirazioni».
Un mestiere che si trasmette di generazione in generazione e che negli anni cambia, complice la tecnologia, e se da una parte diventa meno faticoso, dall’altro vede sempre maggiore concorrenza rischiando di scacciare i piccoli pescatori. «La tecnologia ha influenzato molto la pesca: i pesci non hanno più scampo e se le quantità di pescato diminuiscono, il mare di Lampedusa per fortuna è ancora abbastanza generoso. Il mestiere del pescatore oggi non richiede più grande impegno fisico e sforzo, anche se si rimane in mare per giorni. Il silenzio c’è ancora ed anche la distanza da casa, dalla terraferma. E spesso si è soli, mentre si fanno le guardie e gli altri riposano, ed io che devo fare? Scrivo. Scrivere mi regala una bella sensazione. Un senso di libertà e di sconfinato spazio, quando il mare è calmo». I figli di Enzo, come i figli di tanti altri pescatori, hanno deciso di non seguire le orme dei padri. Come tanti mestieri tradizionali che vanno via via scomparendo o cambiando nazionalità nel nostro paese.
E proprio Lampedusa è ormai nota più per le vicende e le tragedie connesse all’arrivo dei migranti che per la sua bellezza naturale, come una donna al mattino. E Vincenzo ne ha scritto, ma ne parla svogliatamente. «Sicuramente Lampedusa ha sofferto a livello di immagine per le vicende legate alle migrazioni, ma quegli uomini hanno portato anche qualcosa con loro. L’isola è come una zattera in mezzo al mare. Quando arrivano assolati, affaticati, ma vivi, non puoi far a meno che portarli a casa e dar loro da mangiare. Questo abbiamo fatto nel 2011, quando sono arrivati in migliaia. La legge italiana non lo permette, ma le leggi del mare sono altre. Si dà sempre aiuto a chi è in difficoltà. In quei momenti, miei colleghi ed amici, non hanno pensato alle conseguenze sulla terraferma. In mare se vedi un uomo in difficoltà, intervieni per salvarlo. Poi poco importa che sia uno, dieci o cento. Siamo uomini e non possiamo fare a meno di dare una mano, sfido chiunque a non farlo».
Diventa sempre più difficile per Enzo parlare dell’argomento, come per chiunque abbia vissuto sulla propria pelle quelle emozioni. Accenna poche parole, incerte, come a non voler ricordare. «Una volta ne arrivarono otto, senza vita, a riva. Portati dalle reti a strascico». E allora, come per scacciare un brutto pensiero, torniamo a parlare dell’isola. Lei che rimane, nonostante tutto, sempre uguale a sé stessa: bellissima, circondata dal mare trasparente, cullata dai profumi del pesce fresco e della cucina tradizionale, abbracciata da quegli isolani che hanno l’accoglienza nel corredo genetico e nel cuore. Non una semplice vacanza, forse, ma una esperienza di vita, se fatta con coscienza.
Ci vediamo a Lampedusa, qualche volta, Enzo.