Esserci è diverso.

Esserci è diverso. Cambia ogni impressione, ogni giudizio preventivo, ogni riserva. Ascoltare le parole di donne e uomini da un piccolo palco allestito per l’occasione ti riempie di forza, di orgoglio, ti offre uno spazio di riflessione che non ti aspettavi, ti emoziona come non credevi.

Eccole qui, tutte intorno, le fondamentaliste, le nuove puritane, le “eroine snob” della Sinistra. Ed accanto a lei, la “radical chic” antiberlusconiana del momento, ecco il suo uomo, quello che Cristiano Gatti de Il Giornale chiama “il femministo”, «il maschio tollerante e aperto, comprensivo e fiancheggiatore, che all’epoca delle lotte operaie e dei gruppi di studio, dei cineforum e delle occupazioni studentesche, piaceva tanto all’universo femminista. Diceva per filo e per segno proprio quello che le donne emancipate volevano sentirsi dire. Faceva gli occhioni sofferti e profondi che squagliavano anche la più tigre», membro di quella tipologia di uomini che «si mostrano e si dichiarano tutti politicamente più donna di voi. Arcangeli perfetti. Sono l’uomo che ogni donna vorrebbe avere al proprio fianco. In realtà, sono insidiosi come cobra. Vogliono solo carpire la vostra fiducia. Poi, con gelido e calcolato tempismo, la zampata fatale: mi colpisce la tua intelligenza, non è che magari possiamo approfondire meglio stasera a casa mia, ho un articolo di Dacia Maraini da farti leggere, ti ho mai detto quanto adoro la Maraini?». Ed oggi è ancora qui, sfila «ostentando rispetto per le donne mentre il suo obiettivo è rimorchiarle». Ci hai beccati Cristiano, sei il solito arguto osservatore, ed io sono là in mezzo, fra questi maschi ipocriti e buonisti pronti a slacciare la cintura ed assalire le donzelle indifese della piazza in un attacco di libidine assassina! I veri ipocriti, i finti santi, tanto austeri da essere accusati di integralismo  dai protagonisti delle campagne anti-aborto, anti-DICO, anti-Islam, anti-Rom, anti-viados, anti-testamento biologico, anti-eutanasia e tanti anti- ancora.

È un moralismo intollerante il nostro, che dissipa la privacy delle persone, la inforca e la mette al rogo. È l’invidia dico io, l’invidia di non poter fare ciò che fa il Cav, la condizione di averne il desiderio ma non la possibilità economica. L’odio e l’invidia quello che ci muove. Odio e invidia che muovono 20mila persone – dati Cgil Sicilia – solo a Palermo, e chissà quante altre migliaia in tutta Italia, in Europa, nel Mondo. Migliaia e migliaia di bigotti, bacchettoni, baciapile e beghini. Mica come i “garantisti”!

Come Storace, che al Corriere dice che  «le donne che scendono in piazza sono figlie di quelle che nel ’68 invitavano a fare l’amore e non la guerra. Oggi fanno la guerra a chi fa l’amore». Hai ragione pure tu Ciccio, mica sono progressisti come te, che su Sette un po’ di tempo fa’ hai dichiarato «io sono in prima fila a contrastare la discriminazione, ho promosso altissimi dirigenti, di alcuni sono anche amico, simpaticissimi, intelligentissimi. Non me ne frega nulla della loro condizione sessuale. Ma non può diventare un privilegio. Dove sta scritto che si debbono fare case popolari per i gay?».

O la Santanchè! Oh la Santanchè, secondo la quale «oggi non è un bel giorno per le donne, perché alcune vogliono continuare a dividere, vogliono fare Eva contro Eva. Vogliono ritornare a dividere le donne perbene e le donne “per male”, farei un appello alle donne: non diventate ancora una volta strumento dei maschi». E pure tu, si che c’hai ragione Danieluccia, ma ti sono mancati il medio e lo sputo stavolta, a ricoprire di grazia le tue sagge riflessioni, tu che al Corriere del 26 Marzo 2008 consigliavi a tutte le donne italiane: «non date il voto a Silvio Berlusconi, perché Silvio Berlusconi ci vede solo orizzontali, non ci vede mai verticali». Ti sarai rimessa in piedi, tu che solo un mese prima ricordavi a Lucia Annunziata che «Per una cattolica, il male assoluto è il diavolo, non è il fascismo». Insegna tu a questi farisei il progressismo di chi strappa i veli di dosso alle donne musulmane.

Ma i pinzocheri italiani, forti dell’insegnamento del guelfo poeta, non ragionan di lor, ma guardan e passan. È così scavalcano chi li ingiuria, passano con noncuranza sopra gli sputi, e si raccolgono, ed ascoltano le parole di giovani e meno giovani, donne e uomini, e percepiscono insieme, in questo momento di ritrovata socialità, che il nemico non è Berlusconi, ma che la questione è ben più seria, che si tratta di rifondare uno Stato, una società persa dietro le incompetenze e gli abusi del potere.

Esserci è diverso dal volere le dimissioni del Premier, dal condannare le celeberrime notti di Arcore. Esserci significa ribellarsi ad uno Stato che non ha più rispetto di nulla, uno Stato in cui la strada che si apre di fronte ai giovani è quella della precarietà eterna, quella che si apre alle giovani donne è quella dell’impossibilità di riconoscimento delle proprie capacità – a meno che! C’è sempre un a meno che. Esserci significa dire che con il proprio corpo si può far quel che si vuole, che la mia dignità non è svilita dalle scelte individuali di un’altra persona; ma significa anche dire che una carica pubblica non è un mazzo di soldi, e se il MIO – e di tutti gli italiani – Presidente del Consiglio, la MIA, la NOSTRA classe politica riempie i palazzi di chi gli riempie il letto, questo lede la mia dignità di cittadino, uomo, donna, donna, uomo.

Perbenisti sono quelli che pensano che “andare” a prostitute sia meglio di “andare” a trans, che siamo tutti peccatori, ma l’importante è che si difendano i valori messi in vetrina, quelli che pensano che gli uomini sono uomini, e le donne sono donne, che i primi pensano solo ad una cosa, e le seconde solo ad un’altra, quelli che creano ruoli che ti impongono di rispettare, quelli che sparavano su Sircana e su Marrazzo e che ora proteggono il capo dai “Golpe moralisti”, in un Paese che ha perso la cognizione di ciò che è morale e ciò che invece è diritto, in cui la legge degrada ad opinione e l’opinione a menzogna, in cui la dignità delle persone viene violata sistematicamente senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali – nel pieno rispetto dell’Art. 3 della nostra Costituzione. Per questo oggi eravamo a “battere le piazze in senso buono” – come afferma Cristiano Gatti nel suo articolo, svelando la propria profonda mancanza di rispetto per le donne, per gli uomini, e per la professione della prostituta stessa. È per questo invito anche questa gente, che “batte” in modi più aulici forse, in luoghi più idonei, a riappropriarsi della dignità che hanno smarrito fra le righe dei loro quotidiani. Li invito a pensare che davvero c’è un’Italia diversa, che non può più chinare il capo e chiudere gli occhi, che ha ancora un briciolo di rispetto per se stessa. Un Italia in cui io mi identifico, per un semplice motivo. Perché non direi mai a mia sorella, o a mia figlia «vai col vecchio, così ci sistemiamo!». Perché questo fa parte della mia dignità, di uomo, non di maschio. Come fa parte della mia dignità pretendere un mondo più giusto, senza classificazioni, senza logiche di sesso e di razza e di religione e di condizioni economiche. Senza il controllo di chi una parte su un’altra. Intorno a me, in quella piazza, si chiedeva questo. La libertà.

Voi, prostitute vere, prostitute del pensiero, pronte agli ordini dei vostri capi, voi nelle trincee di regime a sparare alle libere opinioni, venite a saggiare il vento di protesta che oramai rapisce tutto. Valutate come oggi le donne, ieri gli operai, qualche giorno fa’ gli studenti, e ancora prima gli immigrati si amalgamano in una cosa sola, in una sollevazione di dignità. Oggi ho sentito donne battersi in nome di una dignità di donne, per i diritti di tutti però, i diritti di un popolo intero che vuole qualcosa, che cerca una svolta che non c’è mai definitivamente stata. E se non ora quando?