Li definisce “brutti scherzi di chi ci dovrebbe tutelare e invece gioca a guardie e ladri”. Ma la vicenda di Valeria Grasso ha ben poco del lato comico tipico dello scherzo. E, nonostante la formalità delle leggi sia stata rispettata in pieno nello svolgersi dell’ultimo episodio che la riguarda, il messaggio che ne deriva è tutt’altro che incoraggiante.
Tutto comincia quando lei, che ha denunciato chi pretendeva il pizzo nel 2005 e per questo ha subito minacce e ritorsioni al punto da dover vivere in località protetta, torna a Palermo. “A Maggio sono dovuta scendere a Palermo perché mia figlia stava male – ci racconta – dopo un periodo difficilissimo di vita in località protetta è entrata in depressione ed è stata trasferita a Palermo per consentirle le cure di cui aveva bisogno”.
Nella drammaticità del momento, l’istinto della madre è di stare accanto alla figlia. Dunque Valeria, che si sarebbe dovuta fermare in città per qualche giorno in occasione di un evento per promuovere la legalità, accudisce la figlia, che intanto è stata ricoverata in ospedale. Una scelta di cui Valeria mette a conoscenza il Ministero della Giustizia e la Procura di Palermo, fornendo cartelle cliniche e documenti e ricevendo le autorizzazioni per gli spostamenti suoi e dei suoi figli.
“A metà luglio ricevo una telefonata in cui il servizio di protezione dei testimoni di giustizia mi chiede come sta mia figlia – continua – Dico che stava migliorando ma doveva proseguire le cure. Allora loro mi dicono di restare lì, che saremmo rientrati tutti insieme quando ci avrebbero trovato una nuova casa (meno in periferia rispetto a quella dove la famiglia aveva vissuto in località protetta, ndr) adatta a mia figlia”.
Con questi patti presi Valeria resta a Palermo, per poi scoprire – quasi per caso – che le era stato tolto il sussidio di cui godeva per vivere in località protetta. “Non hanno avuto nemmeno l’umanità e la serietà di avvisarmi – dice lei – io dal 1 agosto avrei dovuto fare la pazza, sarei dovuta andare a Roma sotto il ministero e dire: e noi ora che facciamo? Siete una vergogna… E se io invece di avere un compagno che sta condividendo con me questa condanna fossi stata sola e senza i soldi per far mangiare i miei figli?”.
“Purtroppo l’impegno dello Stato su questo fronte non è all’altezza dei bisogni e delle necessità dei testimoni di giustizia – rincara la dose Antonio Ingroia, che si è fatto portavoce dei problemi dei cittadini che hanno fatto una scelta di legalità denunciando le pressioni della mafia – Abbiamo una legge che promette non solo di proteggere i testimoni di giustizia, ma di incentivare la collaborazione alla giustizia dei cittadini che si ritrovano vittime del potere mafioso o che hanno assistito a fatti di mafia”.
Come detto in apertura di questo articolo, le leggi sono state pienamente rispettate: Valeria Grasso, tornando a vivere a Palermo, non aveva più diritto al sussidio che spetta per chi si trasferisce in località protetta. Lo conferma anche Ignazio Cutrò, presidente dell’Associazione testimoni di giustizia: “Noi come associazione – spiega raggiunto al telefono – abbiamo parlato con l’ufficio del Sottosegretario alla Giustizia, e ci hanno detto che c’è una legge secondo cui se vivi nel tuo luogo di origine non ti spetta niente”.
Per Ingroia si tratta di “burocrazia ottusa, che finisce per scoraggiare la collaborazione dei cittadini”. Cutrò arriva a criticare la ratio della legge in questione: “Se io sono testimone di giustizia in località protetta e non posso mantenermi perché per il mio status ho perso il lavoro che avevo prima di denunciare, lo Stato mi da un contributo. Se sono un testimone di giustizia ma vivo nel mio luogo di origine e ho comunque perso la mia attività a seguito della mia denuncia lo Stato non mi da nulla”.
“La scelta non deve dipendere da quello che ti aspetti ti diano, deve dipendere da quello che senti di dover fare – dice Valeria Grasso – Se oggi mi si ripresentasse la stessa situazione farei lo stesso identico percorso. Questa scelta si fa innanzitutto per il futuro dei tuoi figli e per l’integrità della tua famiglia – continua – La mafia la puoi sconfiggere solo con l’onestà della gente e proteggendo chi denuncia”.
Per dirla con le parole di Giuseppe Carini, anche lui testimone di giustizia, “Il messaggio che passa al livello mediatico è di disincentivazione alla collaborazione”. Un’ulteriore conferma che le leggi vanno adattate al caso singolo, perché dietro a un problema da risolvere con la loro applicazione c’è la pelle di uomini, donne e bambini.