Fiumi si sangue, la storia di Rosy

Questa è una città dimenticata, nascosta, con la testa girata dall’altra parte, gli occhi bendati e le orecchie tappate. Per non vedere, per non sentire. E non sempre ha a che fare con la mafia. Te ne accorgi percorrendo le strade di un quartiere, Villagrazia, periferia sud di Palermo, aggrappata alle pendici dei monti che stringono la città, spingendola verso un mare che non si vede quasi mai. Villagrazia, quartiere ingoiato dalle viscere di questa terra in cui quello che non è esplicito semplicemente non esiste. Guardo la montagna che sovrasta la borgata; nel suo sottosuolo, a due passi da lì, c’è il fiume Oreto. Palermo e i fiumi. Nascosti alla vista, soppressi. Perciò inesistenti, se non nella toponomastica pronunciata senza memoria dai suoi stessi abitanti. Bisogna aspettare qualche piena, una vendetta della natura, per accorgersi che Palermo è una città con tanti fiumi. Succede lo stesso agli uomini e alle donne di questo quartiere: non esistono, finchè qualche funesto fatto di cronaca non li riporta alla luce, sotto gli occhi sorpresi di tutti. Stavolta la cronaca ha il nome di Rosi Bonanno, l’ultimo femminicidio consumato in città. L’ennesimo. E’ solo allora che una città e un paese distratti scoprono per la prima volta il sangue della tragedia versato da una donna giovane, da una mamma che pure aveva provato a difendersi dalla ferocia del suo assassino, dal padre di suo figlio, con le leggi, da buona cittadina di questa repubblica. Ci si accorge solo ora che questa donna poteva essere salvata, che aveva chiesto aiuto, che aveva provato a rivolgersi alle istituzioni. Inutilmente, ormai.

E’ una famiglia modesta quella di Giusi, la famiglia che l’aveva riaccolta insieme al suo bambino dopo la dolorosa e tempestosa separazione dal suo assassino. Una famiglia semplice e dignitosa. Non avevano mai chiesto nulla. Eppure le difficoltà, anche pratiche, non sono mai mancate. Teresa, la madre di Rosi, professione badante per duecento euro duecento, mi accoglie con semplicità nel suo soggiorno, mi fa accomodare. Il bambino le sta in braccio, stretto a lei. Mi guarda da sotto, il faccino affondato dentro il seno di nonna Teresa, il ciuccio in bocca . Ha gli occhi di sua madre, gli stessi della nonna che sono di un azzurro ceruleo. Cerca rassicurazioni e protezione. La mente umana è davvero straordinaria: prova con tutte le forze a sopravvivere al dolore, anche al peggiore. Così, dopo un pezzo che mi vede parlare tranquillamente con la sua nonna, forse si tranquillizza. Non mi teme. Scende dalle sue braccia e inizia a scarabocchiare su un foglio, poggiato a una sedia. Gli ho dato una mia penna. Penso che avrà bisogno d’aiuto per impedire che tutto questo dolore, troppo forte per chiunque figuriamoci per un bambino di due anni, rimanga nascosto a covare veleno nel tempo, inciso come un tatuaggio dentro l’anima. Nonna Teresa non riesce a darsi pace. Lei e la sua famiglia sono sempre stati una sponda sicura per Rosi. E’ la rabbia di chi non è riuscito a proteggere il bene più prezioso: i figli. E’ forte nonna Teresa, sa che deve ancora una volta tirare fuori il coraggio leonino delle madri. Si dice che i nipoti si amano di più perchè sono figli due volte. Di certo questa nonna non farà mai mancare l’amore a questo bimbo. Quel piccolo angelo è l’anello di un cerchio che ha saltato un giro, una pedina mancante nella scacchiera della vita, ma che proietterà Teresa nel suo futuro, qualunque esso sarà. Adesso bisognerà essere forti per non permettere che al dolore se ne aggiunga altro. Adesso, con molta probabilità, saranno anni di lotte su più fronti: quello penale per l’assassinio della figlia e quello civile, per ottenere l’adozione del nipotino.

Paola Rubino è l’avvocata che in passato è stata consultata da Rosi Bonanno e dalla sua famiglia proprio per gli episodi di stalking subiti dalla donna. E’ un fiume in piena, la voce autorevole di una donna, una donna di legge, che conosce benissimo la superficialità con cui talvolta vengono trattati questi casi. Approfittando magari della scarsa scolarizzazione di coloro che alla legge fanno ricorso, invocandola. Un paradosso: proprio coloro che la legge avrebbe maggiormente il dovere di proteggere, spesso finisce per colpevolmente ignorare. La legge non ammette ignoranza, ma spesso finisce per ignorare i suoi stessi protetti. In cuor mio mi auguro che il caso di Rosi non segua quello di molti altri: finiti nel dimenticatoio non appena le luci della ribalta mediatica si saranno spenti. Dimenticati da tutti, dopo avere spremuto, a proprio uso e consumo, il caso col solo scopo di mostrarsi sotto i riflettori; quei riflettori che sono i benvenuti a patto e condizione che esibiscano il nostro nome così da poterlo spendere come una freccia all’arco di una guerra che non si è combattuta se non a parole o, al massimo, mostrando orgogliosamente come si è brave a disegnare le sagome sul marciapiede delle vie del centro. Per catturare l’attenzione, certo. Ma su di sé. Femministe e progressiste solo dentro i rassicuranti confini del salotto buono. Mentre intanto, dentro un qualche lontano inferno di un qualche quartiere popolare una Rosi qualunque finisce ammazzata. Femminicidio. Vero.

(Serafina Ignoto)