Gae Aulenti rappresenta la magnifica conferma che le donne sanno organizzare e riprogettare lo spazio del mondo con una forza creativa unica e potentissima, figlia di secoli di cura degli spazi privati e finalmente anche di quelli pubblici. Nella sua opera c’è una grandezza visionaria che si appropria della forza della natura, della cultura, della tradizione e la riproduce. Ora Milano le dedica, a pochi mesi dalla morte, contro le indicazioni del Regolamento toponomastico, la piazza che lei ha progettato e realizzato.
Nata a Palazzolo della Stella, in provincia di Udine, nel 1927, da una famiglia benestante di origini calabresi. Così Gae ricorda i genitori: il padre, commercialista, era «Bellissimo, severo. […] Dolcissimo. Buono. Burbero. Ironico» [Maraini, 1973, p. 173]; la madre « bella, intelligentissima. Capisce tutto. Anche adesso capisce le cose più lontane da lei» [Maraini, 1973, pp. 174-5]
Si è dedicata alla politica da giovanissima. Erano gli anni della guerra ed è antifascista, dopo la guerra si iscrive al PCI e scrive su un giornale partigiano di Biella. Esce dal partito comunista nel 1952, manifestando così la sua condanna per l’ antisemitismo di Stalin.
Nel 1954 si laurea al Politecnico di Milano e nella capitale economica del Paese Gae si forma e sviluppa una idea di architettura dedita al recupero storico-culturale del passato in relazione all’ambiente circostante.
«Credo che il luogo sia innanzitutto un fatto concettuale- scrive – cioè un fatto di cultura: infatti se si opera a Parigi, a Barcellona, a Milano o a Roma, le condizioni culturali sono diverse. Capire queste diversità, e conoscerle, diventa, per chi si accinge a progettare, una necessità, in quanto si deve operare in continuità con la tradizione di un luogo» [Aulenti, 1996, p. 13]
Così la giovane Aulenti, insieme ad altri architetti e designer esordienti, aderisce immediatamente al neo-liberty realizzando sia gli allestimenti per la XIII Triennale di Milano del ’64, sia svariati arredamenti durante gli anni Settanta.
Lavora anche presso l’università: prima è assistente del professor Giuseppe Samonà presso la cattedra di Composizione architettonica all’Istituto universitario di architettura di Venezia; poi ricopre lo stesso ruolo presso la cattedra di Elementi di composizione architettonica del professor Ernesto Nathan Rogers alla Facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Rogers che, da un punto di vista professionale, Gae considera un “padre”, dal 1955 la chiama a collaborare alla rivista “Casabella” che egli dirige.
Dal 1960 fa anche parte dell’Associazione disegno industriale (ADI), di cui sarà vice-presidente per il triennio 1966-69; nel 1966 è Art Director del Centro Fly Casa a Milano; dal 1974 al 1979 fa parte del comitato direttivo della rivista “Lotus International”; dal 1977 al 1980 è membro del comitato esecutivo della Triennale di Milano. Nel 1988 viene nominata accademica nazionale. Nel 1995 è Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera.
Lavora anche come designer realizzando serie di mobili (Knoll e Zanotta)e di lampade (Artemide)
Gae pensa che si debbano realizzare prodotti coi quali il consumatore possa stabilire sia rapporti funzionali, sia affettivi e culturali: l’oggetto dunque ha una sua vitalità al di là della sua specifica efficienza, in grado di comunicare con gli utenti e parlare loro della sua storia.
E’ del 2005 la fondazione della Gae Aulenti Architetti Associati, con sedi a Milano, Barcellona e Parigi.
Si è spenta il 31 ottobre 2012 a Milano. Aveva 84 anni. Giorni prima della sua scomparsa, le era stato riconosciuto dalla Triennale il premio alla carriera.
La lasciamo ascoltando le sue parole:
«L’architettura nella quale mi piacerebbe riconoscermi deriva da tre capacità fondamentali di ordine estetico e non morale. La prima capacità è quella analitica nel senso che dobbiamo saper riconoscere la continuità delle tracce urbane e geografiche sia concettuali che fisiche, come essenze specifiche dell’architettura […]. La seconda capacità è quella sintetica cioè quella di saper operare le sintesi necessarie a rendere prioritari ed evidenti i principi dell’architettura, in grado di contenere qualsiasi variazione … La terza capacità è quella profetica, propria degli artisti, dei poeti, degli inventori. Se la tradizione di una cultura non è qualche cosa che si eredita passivamente, ma qualche cosa che si costruisce ogni giorno, questa terza capacità non può che essere una aspirazione. Una aspirazione a creare un effetto di continuità della cultura, a costruire le sue forme e le sue figure, con un contenuto personale e contemporaneo.» [Aulenti, 1996, p. 17].
Ilaria La Piana