GESU’ E’ MORTO PER RESTITUIRE DIGNITA’

San Berillo, Catania. Un quartiere dalle viuzze strette, quasi anguste, cariche di tanta storia. E di tante STORIE. Storie fatte di scelte, decisioni, alternative strozzate e soluzioni imposte da una vita priva di bivi e deviazioni. Storie di prostituzione, pregiudizio, chiusura, ignoranza. Storie di dignità negate.

Ed è quella dignità che Maria Arena, regista, restituisce alle abitanti del quartiere di San Berillo. Prostitute, trans alle quali si vuole togliere la maschera, il trucco, i tacchi alti e i vestiti succinti, per far emergere ciò che sono veramente: prima di tutto, persone. Persone con un’intimità e una sensibilità mostrate con una delicatezza e una grazia che smonta ogni genere di volontà giudicante, per divenire affascinato occhio indagatore. Ma non un’indagine di un fenomeno, di un ‘caso’ da studiare. Non si tratta dell’analisi curiosa, dello sguardo inquisitorio che osserva dal buco della serratura una realtà che affascina, ma che al tempo stesso si condanna. Quello che Maria Arena realizza con il suo ‘Gesù è morto per i peccati degli altri’, docufilm del 2014, è un rispettoso e delicato quadro di una realtà fatta di persone. Persone scoperte quasi ‘per caso’, come ci racconta la regista Maria Arena: “In realtà quando partii per questo progetto ero sulle tracce di una scrittrice di Catania, Goliarda Sapienza. Trovai la casa, e l’inquilino era un abitante di San Berillo da 60 anni. Mi fece fare un giro per quelle vie, quasi come un Virgilio preferenziale. Incontrare queste persone mi colpì molto, e le stesse domande che mi posi io, sono poi quelle che ho rappresentato nel documentario. Dopo una frequentazione di 5 anni ho voluto raccontare le loro storie. Sono persone dalla personalità complessa e straordinaria. E’ stato questo a spingermi alla realizzazione”.

Ciò che ne viene fuori, può essere considerata un’opera dalla carica emotiva coinvolgente, che spinge alla riflessione. Un violento ritrovarsi in realtà sconosciute, o semplicemente ignorate. Il tutto con una sensibilità e una delicatezza che dedicano il giusto rispetto a un mondo che rispecchia una realtà sociale che, dietro ciglia finte e parrucche, nasconde un disagio che non deve essere assolutamente ignorato. “Non volevo realizzare né un film scandalistico né un reportage perché sapevo che questo le avrebbe sminuite nella loro complessità. Il lavoro è stato proprio un approfondimento del dialogo con loro, una conoscenza più approfondita della loro intimità, che non è quella di facciata”, continua la regista parlando delle protagoniste dell’opera e del rapporto di profonda fiducia e reciproco rispetto creatosi nei 5 anni di lavoro insieme: “è una produzione che sbuca fuori dalle relazioni. Non sono immagini rubate, sono stata subito chiara nell’esporre la mia intenzione a realizzare un film. Dopo le titubanze iniziali, si è consolidato un rapporto. E’ il racconto della loro vita nel quartiere e non solo. E’ la vita quotidiana, fatta di affetti, di gesti comuni, di analisi del sangue, di feste in famiglia, di devozione per i santi. Ho scoperto questa realtà, ed è questo quello che ho raccontato”.

Una sensibilità ripagata da una fiducia che ha portato le protagoniste ad aprirsi, a confidare un’intimità invisibile agli occhi. Racconta Josella Porto, sceneggiatrice del film: “Capitava che ci venissero raccontati fatti a cui non avevamo assistito, con un’emozione tale da portare me e la regista a chiedere di metterle in scena. Così il documentario si compone di una prima parte che può definirsi una prova generale, e una seconda parte fatta di racconti che ci venivano presentati con un entusiasmo che ci ha portati a metterli in scena. Loro raccontavano e noi mettevamo in scena: un vero e proprio lavoro di gruppo. Nel momento in cui hanno percepito che non volessimo approfittare di loro, che il nostro scopo non fosse quello di scandalizzare, si sono affidate a noi, ci hanno dato fiducia. Noi volevamo partire da una domanda: ‘la prostituzione esiste, perché fingere che non sia così?’. Da sempre esiste l’omosessualità, la transessualità, l’eterosessualità. Negli anni ’50 però, l’unica cosa che potevi fare, l’unica alternativa era prostituirti, in questo quartiere meraviglioso di Catania, nel quale fino a 10 anni fa non si entrava, se non pagando per una prostituta”.

Una produzione scaturita quindi da una graduale crescita dei legami, da una crescente e reciproca forza fatta di fiducia e autovalutazione. Come conferma Josella Porto: “Dopo un anno intero vissuto nel quartiere in cui ci hanno aperto le porte, abbiamo conosciuto tantissime prostitute e trans di San Berillo. Posso dire che siano stati più loro a scegliere noi, che viceversa, perché molti si sono letteralmente affidati a noi. Alla fine ci siamo ritrovati a identificarci con loro, perché è una questione di dignità: sono individui che dicono ‘noi esistiamo, non ci cancellate’ ”. Ed è proprio per restituire una dignità cancellata da una società perbenista e ipocrita, che due donne dalla sensibilità straordinaria hanno deciso di posizionare il fuoco della videocamera su un quartiere che vive nella penombra. Ciò che si percepisce, è la volontà di restituire luce, con l’arma dell’informazione. Quella autentica, semplice, priva di volontà scandalistica. E così si raccontano piccoli aneddoti, esperienze, abitudini quotidiane. La devozione per i santi, la fede abbracciata con sincero trasporto. Quel Credo che fa commuovere una delle protagoniste durante la processione. Autentico, come autentica è Franchina, o Marcella, o Alessia. Persone VERE che, firmando una liberatoria, acconsentendo a regalare la propria storia alle telecamere, hanno confermato e dichiarato la propria condizione, il proprio disagio sociale. Un disagio creato dalla ‘società bene’, quella che vive di ipocrisie, e che nella penombra agisce, e poi condanna. Un percorso che vive di negatività e al contempo positività: il riconoscimento di un disagio unito alla volontà di rivalsa, di accettazione e, soprattutto, di dignità. Una parola inflazionata, usata e riusata fino al rischio di perdere il proprio valore e significato. Ed è qui che il tutto diventa straordinario.

Con la semplicità del mezzo documentaristico, questi personaggi, queste PERSONE, rivendicano un qualcosa che è loro di diritto, dal momento in cui vengono al mondo. “E’ bellissimo come il cinema, un mezzo che obbedisce a regole commerciali, sia un modo per restituire dignità – continua Josella Porto – Come per Franchina, una delle protagoniste, che nei giorni in cui ha accompagnato la regista a Milano non si è prostituita, ma anzi ha pubblicato un libro. Abbiamo dimostrato loro che esiste un’alternativa.”

Così il cinema diventa anche strumento sociale, mezzo per documentare, per risvegliare le coscienze. In una Catania fatta anche di ‘benpensanti’, di una società bene che si nutre di inquisizione, si può assistere a un fenomeno che unisce tutti, luci ed ombre, di fronte allo stesso schermo, ad assistere a una realtà comune a chiunque: “alla prima, il cinema era pieno di persone benestanti accanto a prostitute e amici delle prostitute – racconta la sceneggiatrice – C’è questa realtà ‘snob’, ma non è padrona. A San Berillo abitano senegalesi, artisti, prostitute, persone comuni. Organizzano pranzi sociali in cui si mescolano tutti. E quegli stessi artisti sono quelli che hanno donato le proprie musiche per la realizzazione del film”.

Il cinema si fa comunione, motivo di legami, sollecitazione e riflessione. Ma diventa anche strumento per dimostrare che esistono alternative, altre strade oltre la prostituzione. Il tutto però, senza la presunzione che porta a voler cambiare le cose. Come afferma Josella Porto: “noi non volevamo cambiarli. Ci siamo presentati come cantastorie interessati a racconti straordinari”. Continua Maria Arena: “Non voglio avere la presunzione di dire di essere riuscita a migliorare il loro stato sociale. Ma il fatto per loro di essersi raccontate ha avuto un ruolo importante. Nelle loro intimità, il fatto di aver raccontato cose che, per loro, non avevano importanza, è rilevante. La cosa che mi piacerebbe fare sarebbe girare un altro film a Catania con loro, con una paga da attori. Con Josella abbiamo un progetto di finzione, al momento al Ministero. Sarebbe bellissimo vincere questo bando, perché garantirebbe anche una continuità al lavoro finora svolto”.

E così la possibilità che le protagoniste di ‘Gesù è morto per i peccati degli altri’ possano partecipare alla produzione di un altro film si fa concreta. Una conferma di quanto una realtà per decenni conosciuta, ma tenuta nascosta, possa ottenere quel riconoscimento che restituirebbe a tanti la possibilità di pronunciare quella parola così inflazionata, ma così naturalmente dovuta: dignità.

Gaia Stella Trischitta