È la condanna di tutti gli attori, quella di dover interpretare la parte degli antagonisti, sia che si tratti di vicende fantasiose e, peggio che mai, se si tratta di vicende tratte dal vero, perché, si sa, i buoni e gli eroi piacciono tanto, e i cattivi vengono odiati. Forse sta proprio in questo il talento di un attore, nel riuscire a farsi odiare nei panni di un personaggio sgradito.
Giampiero Cicciò, l’attore messinese, col suo indiscutibile talento, ce l’ha messa tutta per trasporre agli occhi dello spettatore, con un’interpretazione impeccabile, il ruolo, quanto mai attuale, del potente di turno. Nel ruolo di Sergio Salemi, ne “I fantasmi di Portopalo”, Cicciò ha solo confermato la diceria, tanto celebre fra gli addetti ai lavori, che ‘se uno è bravo, emerge in qualsiasi ruolo’. Raggiunto dunque telefonicamente, ha dimostrato anche il suo carisma e la sua cordialità di uomo, un po’ come tutti quelli che la propria bravura la dimostrano sul palco e non hanno bisogno di ulteriori sovrastrutture ma possono essere semplicemente loro stessi, in quanto eccezionali già così come sono, proprio per la loro normalità.
In questa fiction ha interpretato un ruolo un po’ scomodo e “antipatico”, come ci si approccia a ruoli spesso tanto distanti dalla nostra persona?
Un attore è un acrobata di stati d’animo e deve saper esternare e riprodurre, nel modo più autentico possibile, ciò che ognuno ha dentro se stesso. E tutti, esplorandoci a fondo, troveremo in noi qualsiasi debolezza o pregio.
La figura del potente di turno è tanto ricorrente nella nostra quotidianità. Talvolta si sente che addirittura è una lotta inutile da intraprendere. Da siciliano, cosa si sente di consigliare a chi si trova in situazioni del genere?
Di comportarsi come Salvo Lupo (il pescatore che esiste realmente e che nella fiction si chiama Saro Ferro, il personaggio interpretato da Beppe Fiorello). Lupo ebbe il coraggio di raccontare la verità in un paese dove la paura induceva a nasconderla. Da siciliano il mio consiglio, che do anche a me stesso, è quello di avere il coraggio di combattere l’omertà. Che poi ci si sente pure meglio.
Nel caso di Portopalo, alla fine, in un modo o nell’altro i protagonisti sono riusciti nel loro intento, ma hanno anche dovuto combattere contro una battaglia denigratoria. Perché si tende a denigrare chi dice la verità a voce alta?
Perché la verità spaventa. Fa traballare i nostri illusori equilibri di uomini sorretti da sovrastrutture obsolete alle quali ci aggrappiamo per abitudine o per convenienza. E’ un tema antico e l’elenco è lungo: da Cristo a Giordano Bruno fino a Peppino Impastato… dire la verità è un grande gesto rivoluzionario che molte volte si paga con la vita.
Da attore, quale scena le è risultata più antipatica o difficile da interpretare?
Quella in cui, impersonando il presidente del consorzio di pesca, spingo i miei pescatori a ributtare in mare i corpi dei migranti morti durante il naufragio.
Proprio perché siciliani, dovremmo avere il senso di accoglienza insito in noi. Perché a volte non succede e tendiamo a chiuderci?
Principalmente per ignoranza e per paura. Che sono purtroppo le cause che portano al potere individui come Trump o altri cialtroni xenofobi nostrani che alimentano furbamente paure e ignoranza per ottenere i voti. Ma sono momentanee figure grottesche che ogni epoca ha avuto e che la storia, si sa, spazzerà via.