GIORNALISTA A CHI?

“Pennivendoli”, venditori di fumo, ignoranti, venduti. E quante non ce ne hanno dette? E quante continuano a dircene.

D’altronde si sa, lo diceva anche la canzone che la verità fa male. Certo, non sempre il problema è rappresentato dalla verità, scritta o meno. Spesso, come in ogni campo, l’errore di qualcuno si proietta irrimediabilmente sul contesto di appartenenza. Se si parla di giornalismo però, il procedimento acquista una dimensione diversa. L’uomo è fallace per sua natura, nella vita come nel lavoro. Ci sono avvocati che perdono cause per semplici sviste o cavilli, ingegneri che fanno cadere ponti, medici che sbagliano diagnosi, casalinghe che bruciano la salsa. Ma non si parla negativamente di un gruppo per l’errore di un singolo. Per i giornalisti sembra che questo meccanismo sfugga di mano. E allora siamo tutti venduti, ignoranti e incompetenti.

Glorificati solo quando vittima di ritorsioni od omicidi, i giornalisti sono i classici “rompiballe”. Dipinti dalla cinematografia di ogni tempo come i prezzemolini con il taccuino in mano, che sbucano come anguille per ‘rubare’ la notizia, tormentare il politico o carpire informazioni. Una piccola dritta: non fosse stato per quei prezzemolini che facevano il loro lavoro, oggi non avremmo avuto inchieste come quelle sulla diga Garcia, non avremmo conosciuto le dinamiche del clan Nuvoletta.

Volendo dare un respiro più internazionale a queste affermazioni, nomi come ‘Watergate’ o ‘Talidomide’ dovrebbero far scattare qualcosa in quei tanti che ci definiscono ignoranti. Sempre che costoro sappiano di cosa si stia parlando…
Ma senza voler ulteriormente tergiversare con riflessioni che facilmente incorrerebbero in frasi fatte e facilmente criticabili da quanti non vedono l’ora di manifestare il proprio cinismo, soffermiamoci su quella che è la vita del giornalista. Quali i percorsi, gli ostacoli, i cavilli che quanti hanno la passione per l’informazione e la diffusione della verità devono affrontare per potersi definire ‘giornalisti’. Ci definiscono ignoranti. Ma chi veramente ignora, è chi non sa, o finge di non sapere, che per poter definirsi ‘giornalista’ e poter essere iscritto a un albo che nulla fa se non pretendere, è necessario mettere il naso sui libri, sui testi, sui codici civili e penali.

Volendo dare un respiro più internazionale a queste affermazioni, nomi come ‘Watergate’ o ‘Talidomide’ dovrebbero far scattare qualcosa in quei tanti che ci definiscono ignoranti. Sempre che costoro sappiano di cosa si stia parlando…
Ma senza voler ulteriormente tergiversare con riflessioni che facilmente incorrerebbero in frasi fatte e facilmente criticabili da quanti non vedono l’ora di manifestare il proprio cinismo, soffermiamoci su quella che è la vita del giornalista. Quali i percorsi, gli ostacoli, i cavilli che quanti hanno la passione per l’informazione e la diffusione della verità devono affrontare per potersi definire ‘giornalisti’. Ci definiscono ignoranti. Ma chi veramente ignora, è chi non sa, o finge di non sapere, che per poter definirsi ‘giornalista’ e poter essere iscritto a un albo che nulla fa se non pretendere, è necessario mettere il naso sui libri, sui testi, sui codici civili e penali.

Orson Welles docet. Non si definisce ‘quarto potere’ per pura retorica.

Ma torniamo all’esame, al quale si è giunti dopo un praticantato che deve durare minimo due anni, durante i quali si lavora incessantemente, in condizioni economiche disastrose, se non completamente assenti. In alternativa, ci sono le università riconosciute dall’Ordine, che permettono l’immediato accesso all’esame di iscrizione, e magari un bel contratto alla RAI. Ma per i comuni mortali, i cui genitori non possono permettersi di chiedere un mutuo per mantenere i figli in scuole da migliaia e migliaia di euro l’anno, ci sono le università statali. Noi comuni giornalisti, pubblicisti o meno, abbiamo studiato, faticato. Fatto più lavori solo per poterci definire ‘giornalisti’ e poter fare ciò che in tutto il resto del mondo fanno senza alcun obbligo di iscrizione o appartenenza a un Albo.

Utilissimo ed indispensabile sotto il punto di vista deontologico. Ma sotto l’aspetto tutelare decisamente carente. Chiedere è la parola d’ordine. Centinaia di euro per ‘visionare’ una domanda di accesso all’esame. Centinaia di euro per il rinnovo annuale. E così via. Per arrivare all’obbligo di partecipare ad eventi formativi (rigorosamente in giorni feriali in cui un comune mortale lavora perché, ebbene sì, un pubblicista per vivere deve trovarsi un altro lavoro), e ancora dimostrare una retribuzione biennale di migliaia di euro. Peccato che non si considera che un giornalista medio guadagna, ad articolo, meno di 10 € lordi…
Piccola domanda per quanti ci definiscono ignoranti e venduti, incompetenti e nullafacenti. Secondo voi, se la maggior parte di noi non fosse mossa da una vera passione per ciò che rappresenta il potere di una penna in mano o di una tastiera sotto le dita, avreste così tanto su cui sparlare?
Scusate lo sfogo.

Ho sbraitato come una pennivendola… OPS!