Privi di un lavoro fisso e spesso incapaci di progettare con serenità il proprio futuro, i giovani italiani non trovano la via dell’autonomia rispetto al porto sicuro delle proprie famiglie, complice un sistema di politiche giovanili che sembra non agevolare l’intraprendenza e la voglia di mettersi in gioco dei più coraggiosi.
In Italia un giovane su tre (il 29,4%) è disoccupato. Siamo al quart’ultimo posto nell’Europa a 27. Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile femminile siamo terzi dopo Spagna e Grecia. Mentre la maggior parte dei Paesi europei sta riducendo la differenza tra i sessi, nel nostro Paese la situazione si va aggravando ulteriormente. In Italia inoltre vantiamo un triste primato: un giovane su cinque (il 21,2%) non studia, non lavora e non svolge tirocini.
Il programma “Diritto al futuro”, varato dal Governo Berlusconi lo scorso anno, per aiutare i giovani a trovare casa e lavoro, con l’attivazione sulla carta di diecimila mutui inseriti in un fondo di garanzia, ha rappresentato l’ennesimo fallimento metodologico nella programmazione di politiche per i giovani. Nei fatti un tentativo mal riuscito se, come si legge nel sito del ministero della Gioventù, l’investimento doveva essere sufficiente per risolvere il problema di diecimila nuclei, sapendo che comunque l’annunciato piano non era adeguatamente coperto finanziariamente e l’accesso ai mutui era veicolato da un regolamento “bizantino” che riduceva a soli 300 nuclei ogni sorta di agevolazione.
Non bastano i titoli dei giornali a testimoniare la situazione critica dei giovani italiani. “Generazione senza lavoro: uno su tre è senza un’occupazione” titolano i tabloids economici, “Generazione senza rappresentanza”, invece scaldano le folle i giornali più schierati a sinistra. Una galassia di domande che non trova risposte sia sul piano della flessibilità, con contratti di lavoro che, ad esempio, nel variegato mondo delle tipologie para-subordinate d’impiego, lasciano queste giovani leve poco tutelate rispetto ad altre categorie sociali da sempre più protette dal sistema previdenziale passato, così come sul piano etico con contratti di locazione o affitto di immobili che espongono anche i più temerari a contrarre mutui o prestiti, con interessi alti e affatto vantaggiosi. Infatti, il 36,3% degli under 40 è costretto all’affitto, in un Paese in cui i canoni sono i più alti d’Europa.
Se il noto centro studi Censis certifica l’esistente, dando una base statistica alla nota tendenza di una fortissima domanda di contratti di locazione presente soprattutto nelle grandi città (e che alimenta spesso un meccanismo perverso secondo il quale i canoni d’affitto schizzano sempre più verso l’alto data la mole di studenti e lavoratori alla ricerca di una stanza in condivisione) sorprende che, a pagare le conseguenze di questo trend, sia soprattutto il settore immobiliare. Afferma Giuseppe Roma direttore generale del Censis, che le difficoltà del comparto, da congiunturali, rischiano di diventare strutturali: “La domanda dei giovani e dei nuovi nuclei familiari alimenta sempre meno il mercato della casa. Ecco perché è urgente prospettare un’offerta di abitazioni di proprietà che incontrino le esigenze delle nuove generazioni”.
Ma al binomio “giovani-abitazione”, c’è il dato congiunturale che in Italia i giovani fanno fatica a trovare lavoro e quando lo trovano incominciano a fare i conti con la precarietà. 1 giovane su 2 (51,9%) ha contratti non stabili e un contratto non sicuro non permette di ipotizzare soluzioni altre rispetto a quella di continuare a stare con i propri genitori, nonostante il pensiero sull’argomento dell’ex ministro Brunetta sulla categoria dei “bamboccioni”.
In Francia la situazione ha del paradosso. I giovani francesi accedono all’acquisto di nuove abitazioni pur senza adeguate protezioni economiche. Lo Stato investe nel potenziale giovanile e ne incentiva il progetto di vita favorendo la costituzione di nuovi nuclei familiari.
In Italia, la generazione mille euro, le scelte politiche non felici nei confronti dei giovani e delle stesse donne, possiamo definirle come l’orologio della flessibilità che, continuamente, porta indietro le lancette lasciando in un eterno presente, senza prospettive nel futuro: quindi in una situazione di continuo rinvio della transizione verso la vita adulta e la costruzione di una propria famiglia.
All’analisi del dato nazionale va fatto seguire il dato dei territori. Scrive il Censis che “nel nord-Est (patria delle piccole imprese a vocazione familiare) e nel Mezzogiorno si registra una maggiore incidenza di casi in cui le famiglie più giovani vivono in una casa che appartiene a un parente, di fatto appoggiandosi al patrimonio della famiglia allargata”. E soprattutto nei comuni fino a 30mila abitanti l’accesso alla proprietà appare meno problematico per le famiglie più giovani, data una domanda minore e un prezzo per forza di cose più alla portata. Accertato che il mercato del lavoro offre maggiori opportunità solo a chi vive nelle grandi città metropolitane, contenitori delle occupazioni del terziario, il settore immobiliare offre invece maggiori possibilità per chi vive in provincia e nelle regioni meridionali.
Economia e Politica purtroppo non si sono mai capite davvero in Italia. Il punto fondamentale è mobilitare datori di lavoro, imprese e amministrazioni verso la politica giovanile per innalzare il tasso di accoglienza dei giovani in alternanza scuola-lavoro, con benefici e incentivi destinati soprattutto alle piccole imprese, per la assunzione dei giovani mediante contratti di apprendistato, specificatamente incentivati sul piano fiscale se l’assunzione riguarda giovani lavoratori residenti nelle comunità urbane disagiate.
Una ricetta semplice, che mette in circolo risorse consistenti anche per contrastare lo sfruttamento del lavoro giovanile da un lato e l’intraprendenza sociale alla base della realizzazione di un proprio progetto di vita. Lo spettro della precarietà aleggia però sui giovani italiani. Ecco perché lasciato il mito del posto fisso, numerosi giovani guardano con interesse all’impresa sociale e all’auto-imprenditorialità, perché si scommette sul proprio territorio e sulla valorizzazione dei sistemi locali come l’artigianato, l’agricoltura e il turismo. Ma senza misure certe, anche i migliori propositi rischiano di rimanere solo tali.
Ecco perché la certezza di continuità del rapporto di lavoro – alle prese tra presente e futuro -, la certezza di un reddito adeguato, di leggi che superino il labirinto delle burocrazie regionali e nazionali con il rilancio di piccole e medie imprese già esistenti, magari inserendole in filiere produttive internazionali, così come la promozione di forme concrete di sussidiarietà giovanile, diventano, per gli economisti e per gli esperti di politiche attive del lavoro, elementi essenziali per il rilancio di tutto il Paese.
Tutto questo sembra contemplato dal nuovo programma di governo annunciato in questi giorni dal nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, Prof. Mario Monti che, nell’enunciare le iniziative del nuovo esecutivo, non ha mancato di marcare il valore preminente delle nuove generazioni perché la crescita del Paese passa dal reale coinvolgimento delle giovani risorse.
Il dado è tratto.