– Forse me lo meritavo, in fondo è anche colpa mia se si è arrabbiato così. Sono stata io a sbagliare, non ho preso le sue parti, non l’ho difeso durante quella lite. Si è sentito messo da parte forse. Avrà avuto le sue ragioni per picchiarmi, altrimenti non l’avrebbe mai fatto.
Giustificazioni
– Non voglio tornare a casa, a quest’ora sarà ubriaco come sempre. Forse potrei entrare senza farmi sentire. Se ha bevuto abbastanza magari si è già addormentato e per stasera riesco a evitarmi le sue botte.
Paura
– Mi ha picchiata. Di nuovo. Non posso più andare avanti così. Oggi a lavoro quasi se ne accorgevano. Il trucco non basta più, le sue botte sono sempre più forti. Devo fare qualcosa per fermarlo.
Consapevolezza
Mille storie, tutte diverse ma con un unico denominatore comune: la violenza. Storie di una normale quotidianità che, troppo spesso, si consumano all’interno della stessa famiglia. Violenza fisica e psicologica, violenza su figlie, nipoti, mogli e compagne. Violenza che si incide nel cuore e nella vita di ognuna delle vittime di tali atrocità e che è destinata a mutarle per sempre.
Violenze che sono sempre esistite ma solo da pochi anni combattute. Pochi anni, relativamente parlando.
Sicuramente non sono in tanti a sapere che a Messina esiste il Centro Antiviolenza più antico di tutta la Sicilia, fondato nel 1989 da un gruppo di giovani animate dal desiderio di dare assistenza a quelle donne vittime di violenza. Psicologhe, avvocati, assistenti sociali ognuno con un ruolo ben preciso volto all’aiuto del prossimo.
“Il Cedav, da quando è nato, ha avuto l’intelligenza e la forza di fare cultura, oltre a fare solidarietà e assistenza. Si è posto, rispetto alla città e quindi anche rispetto alle scuole, ai servizi sociosanitari, alle forze dell’ordine, come un’associazione che lavora in rete, in sintonia con tutti gli altri, e che, a partire dalla propria specificità di lavoro sulla violenza contro donne, coinvolgeva tutta la rete del sociale.”
Una grande possibilità è data alla città di Messina da queste donne, a spiegarcelo è Carmen Currò, presidente del Cedav di Messina, la possibilità di avere qualcuno a cui rivolgersi, avere qualcuno che possa ascoltare, aiutare, supportare e anche indirizzare le vittime di violenza.
“La nostra metodologia è basata sull’ascolto e l’accoglienza. Per ascolto intendo un ascolto competente, di decodificazione, quel tipo di ascolto che porta all’aiuto, che fa aprire le donne e che permette loro di avere fiducia in noi. Ognuna sarà seguita tramite un progetto fatto da un’equipe di tre operatrici: un’assistente sociale, un’educatrice e una psicologa.
Spesso le donne che si rivolgono a noi impiegano diverso tempo prima di prendere una decisione qualunque su come comportarsi, a volte, il percorso giudiziario può essere molto lungo, altre volte, nei casi di violenza fisica evidente, le nostre avvocate procedono subito per vie legali, presentando denunce, querele, ordini di allontanamento e così via. La cosa più importante che ogni centro antiviolenza può dare resta sempre il supporto psicologico , perché le donne vittime di violenza spesso hanno gravi difficoltà relazionali, possono soffrire di depressione, avere un costante senso di colpa, non hanno autostima e credono il marito/ compagno invincibile.”
Le conseguenze di gesti tanto crudeli possono essere davvero devastanti. Sotto ogni punto di vista.
Sì, perché la violenza sulle donne non ha solo dei risvolti negativi sulla vittima stessa, ma anche su tutta la famiglia, creando smarrimento, impotenza e confusione. E la legge, in Italia, se n’è accorta davvero tardi.
La prima norma emanata contro la violenza sulle donne risale al 1996, neanche vent’anni fa. Parliamo della legge n 66, nella quale, il crimine di violenza sessuale viene riconosciuto come reato contro la persona, viene quindi equiparato al tentato omicidio, alla rapina a mano armata.
Dal 1996 in poi sono state promulgate tantissime altre leggi, a catena, che hanno portato avanti la salvaguardia delle donne: da quella sullo stalking, all’ultima sul femminicidio emanata ad Ottobre 2013.
“La legge sul femminicidio non ha tanto un’importanza dal punto di vista tecnico, quanto da quello simbolico. Finalmente in questo paese l’omicidio di una donna non è più considerato come una uccisione qualunque, ma ha assunto un valore intrinsecamente diverso.”
Piccoli, grandi passi verso un’Italia più evoluta e sicura, un’Italia che cerca di difendere le proprie donne da violenze brutali che sono rimaste impunite per troppo tempo.
Oggi il femminicidio va un po’ di moda, se così si può dire, sono nate decine di associazioni, sono stati fatti tanti film, ma è bene che se ne parli. “È un modo per squarciare quel velo di indifferenza che c’è stato per anni, è un modo per rompere il silenzio. È un atto di prevenzione che combatte il silenzio e quindi la solitudine in cui giacciono troppe volte le donne. Io dico sempre che si deve creare scandalo attorno alla persona che usa violenza affinché si vergogni di ciò che ha fatto.”
Ma la prevenzione deve svilupparsi sotto ogni aspetto. Un’importante lavoro viene svolto anche con le scuole, medie e superiori, di tutta la città, un lavoro che parte dall’educazione alla non violenza e che si differenzia a seconda della età e del genere dei ragazzi stessi. La collaborazione con le scuole è sempre esistita per il Cedav di Messina, ogni anno viene elaborato un protocollo d’intesa differente che prevede la loro presenza a contatto con i più giovani, perché è da loro che deve iniziare una diversa educazione. Altrettanto importante è la collaborazione fatta con l’Università di Messina, con tutti i rettori e con tutte le facoltà dell’ateneo: dal magistero alla facoltà di medicina.
Nonostante la collaborazione di tutte le istituzioni la situazione economica del Cedav, come si può facilmente immaginare, è molto precaria, solo dal 2012 è stata istituita una legge regionale anche qui in Sicilia, attraverso la quale si può partecipare ad alcuni bandi che danno accesso a finanziamenti.
“Fino ad un anno fa avevamo una sede bellissima, che siamo riuscite a pagare, con grandi sacrifici, tramite fondi ricavati da feste di beneficenza e tramite contributi personali, ma ormai eravamo arrivate all’osso. Ho dovuto prendere la decisione, per me molto dura, di lasciarla per trasferirci in un’altra che condividiamo con un’associazione di psicologhe. Chiaramente gli spazi sono molto ridotti e, avendo solo la stanza per i colloqui, non possiamo fare attività di nessun tipo. Io mi sto battendo per cercare di trovare una sede nostra, magari con l’aiuto del Comune.”
Più se ne parla meglio è, una delle frasi che l’Avv. Carmen Currò ha ripetuto più spesso durante la nostra intervista, parlarne per conoscere e per evitare la solitudine. A tal proposito un’importante traguardo è stato ottenuto nei giorni scorsi: la serata inaugurale del Taormina Film Fest ha avuto come ospite d’onore l’associazione D.I.Re, associazione che raggruppa 67 centri antiviolenza di tutta Italia. Ogni giorno, prima dell’inizio del film, è stato proiettato uno spot contro la violenza alle donne, realizzato dal Ministero per le Pari Opportunità. Un grande segno di sensibilizzazione questo che speriamo possa contribuire a rendere sempre migliore la vita di ciascuna persona, donna o uomo che sia, su questo pianeta.
Il più violento e raccapricciante effetto dello stupro è lo smarrimento. La rabbia sarebbe benefica, la ricerca della vendetta sarebbe confortante. Invece no. È la solitudine la ricaduta prevalente. Così nessun giudice, nessun legislatore e pochissimi psicologi possono centrare l’essenza di questo crimine che modifica la storia di una vita. Gli aiuti sono solitamente inadeguati, spesso codificati e non personalizzati perché la ricerca della rinormalizzazione avviene tenendo conto di canoni comuni. Non c’è risarcimento, non c’è soluzione se non quella decisa dalla vittima.
( Mina)Anna Maria Mazzini