La mattina glieli consegnano e la sera riscuotono l’incasso. A lui resta ben poco ma non si lamenta. Avrebbe potuto fare più soldi con i teli decorati dai mandala o gli asciugamani. Ma la concorrenza e la divisione delle spiagge sono spietate. E poi a lui piace vedere i bambini che gli corrono incontro e sorridono. Gli piacciono i bambini, molto più degli adulti, troppo spesso sgarbati e pieni di pregiudizi. Troppe volte gli dicono “quelli della tua religione” o “i tuoi amici talebani”, senza sapere che lui é un indù. Senza volerlo capire. Per questo, Hadi non ribatte neanche più, quando gli parlano così, abbassa il capo. Non ci prova nemmeno a spiegargli che lui è andato via per cercare fortuna, per non essere rapito come suo fratello dai talebani e portato in Afganistan. Non ci prova a dire che lo fa per aiutare la madre rimasta sola con i suoi 4 fratelli. E non trova la forza di spiegare che il suo fratellino più piccolo é morto in un parco giochi, per colpa di un attentatore suicida che si era messo vicino alle altalene. Che i suoi resti sono stati trovati sul muro di una casa poco distante. Che non ha potuto tornare in Pakistan per i funerali e che, sua madre, non passa giorno senza piangere ed incolparsi, perché quel figlio lo ha portato lei al parco, per giocare con i suoi amici, per lo più cristiani che stavano festeggiando la Pasqua. Non ci prova nemmeno a dire che lui odia i talebani per questo.
E non c’è offesa più grande che dirgli “i tuoi amici”. Storce un po’ la bocca, quasi in un tic, ha il labbro inferiore carnoso e gli occhi lunghi. Un naso largo e diritto. É magrissimo. Dice di avere 24 anni anche se ha già le rughe intorno agli occhi, come se vivesse tenendoli socchiusi. Penso che sia perché passa le giornate guardando in alto gli aquiloni che porta in una lunga fila, uno attaccato all’altro, quasi a perdita d’occhio. O, forse, ha solo bisogno di un paio di occhiali. É arrivato nel 2014 da nord, attraverso un odissea durata anni. Quando lo hanno fermato non sapeva in che area geografica si trovasse. Ha fatto richiesta di asilo, gli hanno preso le impronte digitali ed ora attende la risposta. Ha raccontato il suo viaggio attraverso l’Iran, le botte e i soprusi che Alba Dorata, inferti a lui e ai suoi compagni di viaggio. Poi l’Albania, il Montenegro, la Serbia, l’Ungheria, l’Austria e infine l’arrivo in Italia. Qui, spera di trovare un lavoro e ricongiungersi ai suoi fratelli per farli studiare.
Perché adesso è sua madre, una musicista di Lahore, ad occuparsene. Spera che anche la madre voglia venire in Italia un giorno ma sa che è molto legata alla sua famiglia, ai suoi morti e alle tradizioni. Non si fa illusioni. Cammina lento, sorride e fa l’occhiolino ai bambini, Hadi. Ha ciabatte sottilissime, la pelle dei piedi callosa. Forse perché la sabbia scotta o, più facilmente, perché le scarpe nel suo lungo viaggio sono state un lusso assai raro. Il suo nome significa “guida”. Gli chiedo se ha la patente, lui mi dice che non è quello il senso, gli dico che lo so e scoppiamo a ridere. I suoi denti sono ingialliti, gli manca un premolare. La sua pelle ha il colore della crema mou. Porta abiti di qualche taglia più grande. Passa un suo connazionale, si scambiano un cenno. Fatica a riconoscerlo, penso che Hadi avrebbe bisogno di un paio di occhiali.
Mi racconta che, quando sono stanchi, i suoi amici con i teli e i borsoni si buttano dietro alle siepi alla fine della spiaggia e si coricano. Sempre dietro quelle siepi riescono a darsi una lavata e sempre lì, fanno i loro bisogni. Lui no, gli aquiloni glielo impediscono e “io sono uno che ha voglia di lavorare. Riposo la sera” e poi “i bambini hanno bisogno di aquiloni”. Al massimo chiede di poter usare i bagni in spiaggia, mentre il suo amico bagnino gli lascia legare la fila di aquiloni alla struttura di vedetta. Dice che preferisce non usarli i bagni peró, non gli piace come lo guardano. Qualcuno se ne lamenta anche. Per lui è mortificante. Guardo a terra, poi alzo gli occhi su quella fila di aquiloni alta nel cielo. Anticipa la mia domanda spiegandomi che l’ultimo aquilone è un pipistrello nero perché il contrasto lo aiuta a vederlo nettamente, così evita di impigliarsi, romperli e perdere tempo. Penso, ancora una volta, che ad Hadi farebbero comodo degli occhiali.
Lo osservo in silenzio. Nonostante tutto ha lo sguardo sorridente, stretto e lungo ma sorridente. Ogni tanto si guarda intorno, in una delle sue mani grandi ed ossute stringe la matassa dei fili degli aquiloni, l’altra é tutta per i bambini, per salutarli. Dice che i bambini sono saggi, gli dico che ha ragione. Dice che “noi” e “loro” abbiamo culture che si somigliano. Penso che quel “noi e loro” sia la causa di troppi guai a questo mondo. Un muro che non andrebbe alzato. Mentre al di là di quelle siepi, gli adulti fanno parole crociate, prendono il sole, leggono le news o chattano dai loro smartphone.
Mentre i bambini giocano, fanno il bagno, i castelli di sabbia o corrono incontro ad Hadi ed ai suoi aquiloni. Sorridono ed Hadi lo vede, anche senza bisogno di occhiali.