Oggi ho provato a trattenere il respiro per venti secondi, come facevo da bambino turandomi il naso e guardando l’orologio per battere il mio record precedente.
Passavo le ore, con questa attività. Poi facevo una corsetta (in casa e sul posto), per allenarmi un po’, e ci riprovavo. Ero diventato abbastanza bravo, anche perché si trattava, ogni volta, di battere il me stesso precedente, perciò in ogni caso il vincitore sarei stato io.
Non ricordo quale fosse il mio record, ma credo si aggirasse sul minuto, sicuramente era inferiore ai quattro minuti che solitamente ci vogliono prima di perdere conoscenza. Talvolta, se la respirazione è presente ma rarefatta, il tempo può essere molto più lungo, e dev’essere stata la sensazione che hanno provato i 40 migranti chiusi nella stiva durante il loro disperato viaggio su quella barca, morti oggi per asfissia. Le proteste, le urla e i portelloni chiusi. La fame d’aria e poi le motoseghe italiane per aprire i portelloni e scoprire che là sotto, accasciati come se stessero dormendo, erano in quaranta.
Io non m’immagino quello che possano aver patito. Ci provo, immagino il fumo nella cambusa, l’anidride carbonica, il sudore, le urla sullo scafo e sotto, i muri spessi, il puzzo del pesce ammazzato, ma di più non ci riesco. Ci provo. I familiari a casa, la moglie con la coda per fermare i capelli ricci che vanno un po’ dove gli pare, il marito che ha messo il telefono in carica dal vicino aspettando la chiamata della moglie, l’assenza al funerale della persona che amavano. E anzi il funerale che non ci sarà perché è così che funziona e 40 morti sono troppi per fare 40 funerali. Anche perché si sommerebbero a quelli di ieri e a quelli di due anni fa, quando avevo scritto un articolo praticamente uguale a questo, che è un po’ il significato della parola orrore, dover ripetere le stesse cose con altri morti.
Cari politici, avete sbagliato tutto. La vostra incapacità di immaginare il futuro vi ha fatto vedere il presente come una roba da conquistare, quando invece è solo una particella già finita. Non serve rinforzare le frontiere, aumentare i controlli, mettere telecamere, erigere muri e rispedire all’inferno. Avete sbagliato tutto, dobbiamo andare a prenderli noi. Il cuore e le cifre sono dalla nostra parte. Così come costa più uno sgombero di un’integrazione, così costano più le vostre guerre di tutti gli ospedali e gli aiuti economici che servirebbero loro.
Prima o poi anche il più imbecille dei razzisti se ne renderà conto e ve ne chiederà il conto, cari soldati della politica del ragioniere che conta le vite così come conta i morti. O forse la paura che alimenta il razzismo non lascia la sua preda, e i razzisti e gli stupidi ormai ce li siamo giocati. Ma ancora non si sa, e quello che è certo è che noi, noi che abbiamo visto la questione e individuato le ragioni e le soluzioni, e ve le abbiamo scritte sui muri e sui libri, e ci abbiamo fatto le manifestazioni, e il G8 di Genova e il fiume colorato di Firenze, non ci arrenderemo. Siamo scassati, litigiosi, qualcuno di noi è pure un po’ polveroso e magari ultimamente sta più vicino a voi che a noi, ma questo non toglie le ragioni di noi ruote di scorta. E se qualcuno si sentisse smarrito trattenga il respiro quel tanto che basta per capire qual era lo scopo per cui era partito.
Un ricordo, anzi quaranta.
Saverio Tommasi