Un gruppo di bagnanti su un gommone davanti una spiaggia di Punta Secca in provincia di Ragusa spacciati per cittadini lampedusani che danno la caccia ad un barchino di migranti vicini all’approdo. Il video viene pubblicato in un tweet da una specialista in attacchi agli immigrati.
La stessa signora, che più volte ha riferito notizie rivelatesi false, cerca maldestramente di dimostrare che i lampedusani decidono di bloccare da soli quel barchino perché sono stati abbandonati dal governo e dalle forze dell’ordine: quindi si fanno le ronde da soli. Nel video però non si vede l’esito finale della vicenda. Il filmato completo infatti mostra lo sbarco avvenuto come di consueto perché nessuno può bloccare un’imbarcazione con persone a bordo mettendo a rischio la propria e la loro incolumità.
Ma c’è di più: è evidente a chi conosce bene l’isola che quella spiaggia non può essere Lampedusa. Poco dopo, qualcuno scopre infatti che la stessa persona che aveva spacciato il video come girato sull’isola delle Pelagie, quattro giorni prima lo aveva già twittato riferendo di uno dei tanti sbarchi autonomi che si verificano da anni nel sud della nostra penisola e che negli ultimi mesi sono stati più frequenti del solito.
E dava al corretta località: in provincia di Ragusa ma non Punta Secca. Strano che non si sia accorta di aver smentito se stessa.
È talmente plateale la fake che ho sentito il dovere di avvisare gli utenti perché l’inquinamento dell’informazione sta diventando quasi tollerato. E chi potrebbe denunciare spesso si priva di farlo per paura delle puntuali ritorsioni con insulti che arrivano alla diffamazione e alla calunnia.
Così decido di pubblicare un tweet in cui denuncio la notizia fake, senza nominare o taggare l’autrice e senza postare il video. Eppure l’attacco degli squadristi da tastiera si palesa immediatamente, come un plotone di esecuzione, dando addosso sui social a chi si permette di sbugiardare le falsità costruite per spingere la gente a odiare sempre di più quello che oggi non è una persona ma sembra quasi una sagoma di cartone: “il migrante” . E dunque, dagli alla giornalista che difende i migranti, che non deve ostacolare le notizie del mainstream contro il migrante anche se queste sono false. Senza contare gli insulti sessisti e le minacce di annientarmi. Una violenza verbale ingiustificata se si considera che si stava semplicemente svelando una bufala.
Ma non finisce qui. Quando ho pubblicato quel tweet, ho evitato di fare il nome del colpevole e di mostrare il video. Ma il colpevole è tornato da solo sul luogo del delitto e, dopo aver tentato di cancellare dai social il corpo del reato, vistosi smascherato ha cercato di ripulirsi la fedina girando la notizia shock dei migranti che mangiano i cani ad una signora di Lampedusa invitandomi a dirla tutta sui migranti
Storia emotivamente forte ma, anche in questo caso, rivelatasi poco veritiera. Mai provata e risalente ad una denuncia di due anni fa (2018) non di questi giorni. Denuncia in cui, tra l’altro, non appare alcun accenno a immigrati che mangiano cani. La signora che denunciava invece avrebbe riferito i suoi sospetti mai accertati ad un paio di giornalisti: quelli seri non l’hanno mai pubblicata proprio perché non accertata, altri invece lo hanno fatto con i soliti scenografici titoloni.
Smontata anche questa notizia, la violenza via web è diventata una valanga di insulti e minacce che si sono attenuati dopo l’intervento di una scorta mediatica forte ma che hanno comunque lasciato il segno. Non ripeterò in questa sede le nefandezze di quei commenti, compresi quelli dell’autrice delle fake. Quelli li porterò nelle sedi competenti.
Ma quello che va sottolineato è che quando si vuole colpire la liberta di informazione parte l’onda degli odiatori da tastiera spinta da “menti raffinatissime” che che sanno bene che questo fa male e che se fa male, prima o poi sarai costretto ad alzare bandiera bianca, ad arrenderti e forse a smettere di raccontare i fatti. E che ci penserai dieci volte prima di denunciare ancora una fake. Perché se lo farai dovrai subire le ritorsioni. Diffondere false notizie su una categoria di persone è un sistema già tristemente collaudato in un passato in cui però non vogliamo ritornare.
E noi giornalisti abbiamo il dovere deontologico di vigilare accertando sempre la veridicità della notizia denunciando quelle false.
Ecco io ora mi chiedo se dobbiamo andare ancora avanti così. Con un perseverante inquinamento delle notizie e se al contrario possiamo fare concretamente qualcosa per fermare lo svilimento di un mestiere che mi hanno insegnato si fa mettendoci cura certosina nella ricerca delle fonti, andando sui luoghi in cui avvengono i fatti e cercando sempre di fare un giornalismo serio al servizio dell’utente.