I Centri per l’immigrazione in Italia

L’Italia è per definizione un paese europeo di frontiera. Privo di confini netti, nonostante il vincolo delle acque territoriali per chiunque si avventuri a largo del Bel Paese, negli anni l’Italia è stata attraversata da un flusso di immigrati considerevole, in coincidenza di situazioni di pericolo e emergenze umanitarie che si sono consumante nel Mediterraneo. Intere popolazioni in mobilità alla ricerca di pace e prosperità che hanno trovato negli italiani accoglienza, anche grazie alla presenza in Italia della Chiesa cattolica.

L’immigrazione nel nostro paese ha avuto momenti di forte dialettica nel dibattito politico. Per un Sud accogliente e privo di pregiudizi, si è affermato invece un Nord xenofobo ed intollerante che, abili maestri hanno esasperato con la propaganda e la difesa di valori come la cristianità. Si dimentica però che solo una minoranza degli stranieri provenienti in Italia è di religione musulmana, mentre la stragrande maggioranza professa un credo cristiano.
L’attività legislativa in Italia sul tema dell’immigrazione tocca il picco durante le vicende storiche e politiche che hanno caratterizzato le emergenze umanitarie fino al 2000 (somala, jugoslava, albanese, kosovara) e non ultima quella che ha caratterizzato la “primavera araba” e la conseguente ondata di sbarchi a Lampedusa.
Materiale da campagna elettorale, lo spettro dell’insicurezza degli elettori viene ciclicamente riproposto soprattutto nei momenti di maggiore fragilità degli italiani. Se da una parte i partiti di destra come la Lega nord e il Pdl hanno fatto propria una retorica xenofoba e incurante degli impegni italiani in sede europea ed internazionale (l’Onu ha spesso richiamato il nostro paese per la gestione delle emergenze), i partiti di centro sinistra, Pd in testa, non sanno bene come affrontare l’argomento o nel tentativo di farlo perdono consenso.
Le strutture che accolgono e assistono gli immigrati irregolari in Italia sono distinguibili in tre tipologie: Centri di accoglienza (CDA) – Centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA) – Centri di identificazione ed espulsione (CIE). Compaiono per la prima volta sul territorio italiano, i primi centri di prima accoglienza (CPA) destinati agli immigrati. Tali strutture – , istituite con DPR del 22 settembre 1988 e adibite ad ospitare minorenni in stato di arresto, fermo o accompagnamento, fino all’udienza di convalida che deve concretizzarsi entro 96 ore dal fermo – dovevano garantire la custodia dei minorenni senza configurarsi come strutture penitenziarie. Si tratta di una struttura di mediazione giudiziaria, caratterizzata da una forte connotazione umanitaria che i provvedimenti successi in tema di immigrazione hanno omesso a favore di inasprimenti più o meno giustificati dalle emergenze degli ultimi anni.
A seguito del flusso di immigrati stranieri, per lo più albanesi, che nei primi anni novanta si riversarono sulle coste adriatiche dopo lo scoppio della guerra in Yugoslavia, sono istituiti i CDA con la legge 563 del 1995, ovvero strutture pensate per garantire un primo soccorso con l’identificazione e il motivo della propria fuga (se insistano ragioni per garantirne la tutela e la protezione) e/o l’allontanamento dal territorio nazionale. Nel frattempo il Parlamento approva la legge di contrasto all’immigrazione clandestina passata agli annali come la “Turco-Napolitano” che porta il nome proprio dei responsabili alla solidarietà sociale e agli interni dell’allora governo Prodi I. tale legge si proponeva di regolarizzare il problema dell’immigrazione dall’estero, favorendo tuttavia l’immigrazione regolare, secondo un modello d’integrazione che valorizzava i flussi per qualificare la permanenza degli individui stranieri in Italia, favorendo percorsi di cittadinanza, ricongiungimento familiare, salvaguardando il diritto alla salute e all’istruzione. In via alternativa, lo Stato agisce per espulsione, qualora l’immigrato veniva sorpreso in atteggiamenti compromettenti la propria condotta o che solo incidessero sulla collettività.
Lo stesso testo prevedeva per la prima volta l’Istituzione della figura del Centro di permanenza temporanea (all’art.12 della legge) per gli stranieri sottoposti ad espulsione o respingimento. Occorre comunque dire che già nel 1990, il ministro Martelli si era fatto promotore di un testo di legge sull’immigrazione contenenti 13 disposizioni che trattavano genericamente la tematica dell’immigrazione, in parte abrogate dal testo del 1998.
Il nuovo governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, uscito vincente alle elezioni politiche del 2001, l’anno successivo approva il testo comunemente chiamato “Legge Bossi-Fini”, L. 189 del 30 luglio 2002, di modifica al Testo Unico n. 289 del 1998 e in sostituzione appunto della Legge Turco-Napolitano. Essa prevede (è normativa vigente) il rilascio del permesso di soggiorno, non più veicolato in base allo stato di bisogno (rifugiato politico) ma,  nel caso in cui viene dimostrato dall’immigrato di essere in possesso di strumenti che ne garantiscano il mantenimento economico e quindi un lavoro. Nonostante il testo normativo sia stato anche ritenuto anticostituzionale, anche in base ad accordi bilaterali ritenuti “discutibili” con i paesi limitrofi, la legge rimane il testo normativo di riferimento in Italia, inasprito anche dal reato di clandestinità voluto dal partito della Lega Nord durante il 2011.
La breve parentesi del centrosinistra al governo (2006-2008) si distingue per una mitigazione delle politiche sull’ immigrazione. Recuperando il DPR 303/2004, con D.Lgs 28/1/2008 n.25, il secondo Governo Prodi istituisce i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (acronimo CARA) per ospitare, per un periodo ridotto, lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento e per le procedure relative allo status di rifugiato. Un provvedimento che accoglieva le critiche dell’Alto commissariato per i rifugiati presso l’ONU e gli appelli della Caritas italiana. Sono operativi i Cara di: Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Foggia, Gorizia, Roma e Trapani, per un totale – dati del Viminale – di 3.747 posti, che fungono anche alle funzioni di CDA.
Con le elezioni anticipate del 2008, il centrodestra torna alla guida del paese e lo stesso anno, sotto la spinta del successo elettorale costruito sui temi legati alla sicurezza che hanno consentito al partito più estremista dell’alleanza di ottenere percentuali a doppia cifra, sono istituiti i Centro di identificazione ed espulsione, ex Cpt, per gli stranieri irregolari e destinatari di provvedimento di espulsione. Il decreto-legge n.89 del 23 giugno 2011, convertito in legge n.129/2011, proroga il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri dai 180 giorni (previsti dalla L.94/2009) a 18 mesi. Attualmente sono operativi 13 centri: area portuale di Bari, Bologna, Brindisi, Caltanissetta, Catanzaro, Crotone, Gorizia, Milano, Modena, Roma; Tornio e due nella sola città di Trapani. I centri sono pianificati dalle Prefetture e dagli Uffici territoriali tramite stipula di convenzioni con privati aggiudicatrici di appalti del servizio di assistenza, ristorazione, servizio di pulizia e igiene, manutenzione e cura degli ambienti.
Fin qui abbiamo parlato molto in astratto di luoghi scelti per stabilire il destino dello straniero in Italia. Una rete capillare di strutture che negli anni si è rinnovata per compiti e destinazione d’uso. Ma dentro le mura di questi centri, cosa ci garantisce che le libertà individuali e la dignità di questi individui vengano rispettate?
Non sono rare le proteste nei centri di accoglienza. Alcune delle quali arrivate a noi, grazie alle inchieste giudiziarie avviate della procure competenti, dalle iniziative parlamentari a difesa degli stranieri ospiti e le indiscrezioni circa l’effettivo mantenimento di standard di vita consoni agli spazi e ai bisogni di quanti sono costretti alla detenzione forzata. Si stanno registrando momenti di forte tensione, ad esempio, attorno al Cie di Milo alla periferia di Trapani. Si tratta di fatti di assoluta gravità e lontani dai principi di civiltà del nostro Paese. La video-inchiesta del quotidiano “La Repubblica” è una testimonianza di cui prendere coscienza, soprattutto se va a cementificare un’opinione diffusa sull’opportunità o meno di azioni così restrittive per una popolazione che in taluni casi vorrebbe tornare solo al paese di origine.
I Cie rischiano di essere delle vere e proprie prigioni, dove la sospensione del diritto cede il passo a manifestazioni di violenza e subordinazione, nei confronti di quanti – il documento video lo prova – sono rinchiusi lì senza oggettivo motivo anche di persone che stabilmente hanno un lavoro in Italia. 200 persone in attesa di identificazione, non hanno compiuto reati ma dovranno stare dentro fino a 18 mesi in condizioni disumane. Le immagini del video in questione ritraggono quanto gli stessi detenuti hanno registrato con i propri telefonini e passato ai giornalisti.
Il paradosso del sistema Cie in Italia è quello di recludere soggetti socialmente pericolosi o privi di un proprio sostentamento o lavoro con persone oneste, anche in età pensionabile o in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno, con il rischio di costringere alla coabitazione incensurati con ex detenuti. Criminali e sventurati condividono lo stesso destino. Considerate se questo è giustizia!