I desaparecidos delle onde

700 morti o forse di più. Ma niente paura che presto, molto  presto, il ricordo e la vista di quei corpi rigidi verranno rimossi dallo sguardo e dalle coscienze. Cancellati, lavati via dalle parole, da un mare di parole corrosive, brucianti, sempre le stesse, ogni volta. Presto, molto presto, sui corpi gelati dalle onde si fionderanno come avvoltoi gli apprendisti politicanti; ci si tufferanno immediatamente, cannibalizzando a proprio uso e consumo le conseguenze della disperazione. E infatti non bisognerà attendere molto, giusto il tempo che arrivi la sera, quando ogni televisione manderà in onda talk show patinati per l’approfondimento da garbato salotto buono. E allora l’aria si farà scura di merda, puzzolente, nauseabonda, ma nessuno ci farà più caso: tutto scorre fra le gambe accavallate ad arte e la prevaricazione sul pensiero dell’altro.

Si raccolgono cadaveri freddi e dichiarazioni a caldo. Con le loro bocche di plastica,  ben allenate al bombardamento a raffica, usano parole che uccidono ogni speranza di umanità; bocche che si aprono con studiato tempismo, agognando affondamenti su coste lontane, in grado di galvanizzare un elettorato potenziale da catturare nelle proprie reti, costi quel che costi.

Il leghista dall’eterno ghigno che si asciuga le lacrime di fronte a una tragedia planetaria fa, chissà perché, pensare ai coccodrilli. Dopo le lacrime napoletane è l’ora delle lacrime studiate. D’altra parte l’assidua frequentazione di set televisivi con tanto di telecamere, luci, inquadrature del lato migliore, avranno pure insegnato qualche trucco cinematografico. Mestieranti del dolore, apprendisti del disumano.

Si fa presto a dimenticare, molto presto. L’escalation dell’orrore gioca sempre puntando al rialzo. Così sono spariti in fretta i 284 cadaveri fantasma di Portopalo e gli 81 albanesi speronati dalla corvetta Sibilla della Marina Militare, nel Canale di Otranto. Governo di centrosinistra, Prodi al comando e Schengen alle porte, bisogna farsi trovare in ordine: polvere sotto al tappeto e clandestini in fondo al mare. Tanto i morti non parlano.

Giù, in fondo all’oblio delle coscienze, i corpi mai visti dei morti nel deserto, quelli della politica dei respingimenti, degli accordi con la Libia.  Un orgoglio nazionale tutto italico quei cadaveri ormai putrefatti, cotti a puntino dal sole.  Ma non prima di aver provato il rigore delle carceri libiche, così imparano questi stronzi a ostinarsi a partire.

Il 3 ottobre del 2013 si porta a fondo 366 persone accertate e 20 dispersi presunti.

Già, i morti presunti. Una conta impossibile. Uno stretto di mare che si è prosciugato a forza di piangere, che è diventato terra arsa di croci anonime, disseminata di passaporti, fotografie, scarpe, anelli, brandelli di vita giunti da chissà dove e appartenuti a chissà chi, pezzi di cadaveri lisciati dal sale e dai pesci e che il mare ci restituisce col tempo, perché non muoia definitivamente il ricordo di una vita. In troppi rimarranno per sempre intrappolati in fondo agli abissi,  morti senza un nome, senza una storia da raccontare. Tutti quei desaparecidos delle onde  invocano dignità, dignità del ricordo, se non di un nome e di una tomba. Quella stessa dignità che i neri, i clandestini, questi invisibili della modernità, sanno ancora sbatterci  in faccia, in uno scatto di orgoglio a cui non siamo più abituati da tempo.  Noi, la dignità, la sappiamo solo calpestare quotidianamente  praticando la sudditanza verso i potenti e i prepotenti. Loro non noi, hanno avuto il coraggio di rivoltarsi contro la soverchieria delle mafie (Castel Volturno e Rosarno docet).

Noi, i “giusti”, con le mafie ci facciamo affari d’oro da sempre.