I diritti umani sono Cosa Nostra

 

Spesso sentiamo parlare di mafia. Quasi sempre, la parola “mafia”, la troviamo sulla bocca di chi forse in Sicilia non c’è mai stato, o di chi non si è mai saputo guardare bene intorno, e si adopera a recitare i tratti caratteristici dell’isola della Trinacria. La mafia esiste, lo sappiamo, ma non solo qui. La mafia esiste, ma non è una sola. Sono tante, alcune fanno rumore, alcune si muovono nel silenzio per mettere silenzio. Per zittire chi, da certe Istituzioni, non riesce ad essere digerito. Chi risulta essere, a queste ultime, festidioso e scomodo come una gastrite che brucia nella bocca dello stomaco, e una pillola di Malox non basta a mandarla via.

E’ mafia quella che ieri ha colpito, a Lampedusa l’attivista Georges Alexandre, operatore del gruppo EveryOne, che da ormai sei mesi vive su quell’isola monitorando la situazione e  le condizioni di vita dei profughi provenienti dall’Africa. “Un lampedusano – come ci testimonia un  collega di Alexander, Roberto Marini, anche lui attivista per EveryOne – ha iniziato ad aggredire Goerges, in un primo momento insultandolo per la sua nazionalità straniera, poi passando alle maniere forti, afferrandolo per la gola quando Goerges, pacifista, aveva deciso di allontanarsi dall’uomo e dopo averlo colpito con una bottiglietta vuota strappatagli dalle mani, lo ha colpito con due pugni al volto continuando ad insultarlo, sputandogli in faccia”.  Subito dopo,  come se tutto fosse organizzato a puntino in un gesto intimidatorio da film di Coppola, alcuni lampedusani sono sopraggiunti per interrompere l’aggressione. Quegli stessi che un attimo prima erano lì ad assistere, pop corn alla mano, senza muovere un dito. Gli stessi che, come ci continua a raccontare Marini, invitano Georges a interrompere il suo lavoro umanitario con l’avvertenza: “Se fai una denuncia, tutti noi, qui, testimonieremo a favore del tuo aggressore affermanado che sei stato tu a iniziare la rissa”.

Questo il gesto ultimo, di una serie di atteggiamenti atti a voler controllare, perchè fastidioso, il lavoro di Georges Alexander. Che con fotografie e interviste ai tunisini in giro per Lampedusa, realizza i suoi reportage documentando lo stato dell’isola e sovente denunciando l’inadeguatezza delle strutture e dei procedimenti di accoglienza messi in atto, che spesso e volentieri stridono con le esigenze dei migranti. Un lavoro scomodo, dunque, quello di George perchè fatto di testimonianze scientifiche, sperimentali, reali e incontrovertibili. Certamente meno confutabili di quanto lo sarebbero le recriminazioni di un attivista con un cartellone in una piazza. Un lavoro che, per questo, porta la gente e in particolar modo autorità, a relazionarsi con Georges e con chi come lui lavora per la garanzia dei diritti umani, in modo ostile e sospetto. Tant’è che, nonostante fosse ormai conosciuto sull’isola e dallo stesso sindaco, è stato sogetto alla perquisizione del suo furgone e del suo materiale. Tant’è che, se il suo ruolo è quello di monitorare quanto avviene sull’isola, la polizia, a sua volta, ha minitorato il suo lavoro. Nonostante si tratti di un lavoro protetto dalle nazioni unite, un lavoro volto alla periodica trasmissione dei dati raccolti al Parlamento europeo e all’Alto Commissario Onu per i Rifugiati… o forse proprio per questa ragione.

Dell’episodio di ieri sono stati immediatamente messi a conoscenza il Parlamento europeo e lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui Difensori dei Diritti Umani e la fondazione FrontLine.

Già nel luglio 2010 la fondazione internazionale FrontLine, per la protezione dei difensori dei diritti umani, aveva promosso un appello urgente, vista la persecuzione politica e giudiziaria che viene riservata in Italia nei confronti di molti attivisti. In particolar modo nei riguardi degli operatori dell’EveryOne Group e dei suoi presidenti Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, all’epoca ritenuti colpevoli di … aver svolto con precisione il proprio lavoro e aver, dunque, segnalato alle istituzioni e alle autorità giudiziarie la perpetrazione di “abusi” da parte dei servizi sociali. L’organizzazione Every One Group, di fatti, scegliendo di non identificarsi con nessun colore politico, opera nel mondo affinchè vegano tutelati i diritti umani e civili di “ognuno” (ecco il perchè del nome), di ogni individuo, di ogni popolo. Studiando, inoltre, e monitorando l’insediamento e l’integrazione nel territorio italiano delle minoranze etniche e prestando particolare attenzione al modo in cui verso di esse operano le Istituzioni, per verficare che si adempia a quelle che sono le norme che tutelano i diritti dell’Uomo.

A poco più di un anno di distanza dall’appello della fondazione FrontLine, invariato se non in ulteriore crescita è stato l’impegno umanitario degli attivisti del gruppo EveryOne, e altrettanto inveriati, se non in rialzo, come abbiamo potuto vedere, sono stati i casi di persecuzione e minacce per ostacolare l’azione degli operatori del gruppo.

“I nostri difensori dei diritti umani sono oggetto da tempo di azioni persecutorie e minacce,” spiegano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell’organizzazione umanitaria, “e in alcuni casi si è trattato di episodi gravi, di cui si sono occupati l’Onu, la Commissione europea e FrontLine”. “Riteniamo che dietro alle violenze e alle intimidazioni che colpiscono Georges – continuanto i presidenti di EveryOne – ci sia un disegno preciso contro i difensori dei diritti umani in Italia, poiché i loro rapporti e le loro campagne a sostegno di individui e gruppi sociali perseguitati danno molto fastidio ai promotori di politiche intolleranti”. A poco più di anno di distanza, ancora, come in Italia in tutto il mondo, difensori dei diritti umani vengono picchiati o uccisi. Oppure ancora rapiti o semplicemente fatti sparire nel nulla, come un altro attivista di EveryOne, di nazionalità Rumena, testimone per il Consiglio d’Europa riguardo alla repressione del popolo Rom in Italia, scomparso da Pesaro senza più lasciare tracce”. E ancora oggi, ad un anno di distanza, tutto avviene in un tale silenzio, in una tale omertà, che allo stesso fenomeno mafioso mettono invidia.