di Francesco Polizzotti
Nuova protesta dei familiari dei malati SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) contro i tagli al Fondo nazionale per l’autosufficienza. Azzerato arbitrariamente dal governo Berlusconi, il fondo fu fortemente voluto dall’allora Presidente del Consiglio, Romano Prodi. Era di 400 milioni di euro il capitale economico su cui poteva contare il Fondo (biennio 2010-2011). Con la legge di stabilità 2011, il capitolo di spesa stabilito per questo fine è stato completamente azzerato.
Crisi finanziaria – ci si giustifica dai Palazzi! – che in questi mesi non ha risparmiato proprio tagli pesanti all’assistenza sanitaria e al Terzo Settore, vitali proprio nei momenti di maggiore fragilità in cui incorrono milioni di categorie di cittadini alle prese con difficoltà economiche in crescendo.
Sin dall’ inizio del proprio mandato istituzionale, il Governo Monti si è dimostrato propenso ad una reintroduzione di fondi per andare incontro alle richieste pervenute anche in sede parlamentare a firma Murer, D’Alia, Di Virgilio, Di Pietro, Roilo, Binetti, Palagiano, Baio Dossi, Lucà .
Una sensibilità istituzionale ribadita in più sedi dagli esponenti di governo con delega al sociale, i ministri Fornero (Welfare), Riccardi (Integrazione), Balduzzi (Salute).
Il Fondo nazionale per la non autosufficienza – è bene precisarlo – è una forma di finanziamento autonoma, a carattere nazionale, che permette di destinare annualmente le risorse agli enti locali, sulla base dei dati relativi alla popolazione non autosufficiente che vi risiede, e di altri di indicatori demografici e socio economici. Di per sé forse il capitolo di spesa più vincolato agli effettivi benefici. Tale Fondo garantisce, per le persone non autosufficienti, i livelli essenziali, e non ha una funzione sostitutiva delle prestazioni sanitarie ovvero, serve a integrare risorse rispetto a prestazioni di base e non garantite però allo stesso livello nelle varie Regioni. Quindi, un fondo perequativo che guarda con attenzione a quelle categorie definite protette più vulnerabili.
La speranza quindi, che il Governo Monti metta nella propria agenda il ripristino di un fondo considerato alla pari di quelli destinati al sistema sanitario nazionale, all’ Istruzione e alle politiche lavorative, avrebbe qualche certezza in più – commentano i manifestanti raccolti in piazza – se i famigerati tagli, l’esecutivo, li facesse anche in settori come l’approvvigionamento militare e nelle spese connesse al mantenimento di caserme e strutture inutilizzate, sparse su tutto il territorio nazionale.
Infatti, sono oltre 4 milioni i disabili e non autosufficienti che necessitano di maggiori fondi per una vita dignitosa. L’Enel non manca di tagliare le forniture in quelle famiglie che per ovvi motivi non riescono a pagare la bolletta della luce, per via dell’alimentazione continua dei respiratori a cui sono collegati i propri familiari.
Adeguatezza di risorse, quindi. Non chiedono altro le centinaia di persone che negli ultimi mesi hanno lanciato appelli alle Istituzioni per una categoria mortificata ed esclusa dai bilanci di uno Stato che riconosce privilegi a molti e rinnega diritti ad altri.
Se poi parliamo di mobilitazione, nel nostro Paese sembra ormai conclamata l’idea che più si è in piazza più si ha contrattualità con le forze politiche e di governo. Capita che, mentre i sindacati chiedono –giustamente – equità sociale e accesso al lavoro per tutti, le forze dell’ordine e i giudici benzina e carta per lavorare, così come gli autotrasportatori migliori tariffe per il trasporto (hanno bloccato l’intero stivale per avanzare le proprie istanze), le categorie dei malati e di chi è soggetto ad un regime sanitario particolare, si ritrovano a dover portare in piazza gli stessi familiari affetti da malattia degenerativa, quasi ad estremo tentativo per scalfire un’austerity non sostenibile.
Ammesso e non concesso che il governo Monti ha dovuto affrontare una crisi senza precedenti, con i conti pubblici da mettere a regime e una mancata crescita che nel tempo ha conclamato la cosiddetta recessione in Italia, la terapia d’urto improntata sul pareggio di bilancio pattuito in sede europea per il prossimo anno, colpisce indiscriminatamente tutti, soprattutto le fasce deboli e non rappresentate da lobby o corporazioni (ed in Parlamento sembrano essercene molte).
Il tallone di Achille del “sistema Italia” sta proprio in questo. Il più forte si sa difendere meglio. Nonostante i non autosufficienti, da soli, possano rappresentare una forza determinante in qualsiasi contesto elettorale, taluni governi hanno preferito schierarsi a favore di fattori come la sicurezza (più aiuti ai militari), le categorie amiche (abolizione ici, popolo delle partite iva, pensionati già garantiti e liberi professionisti) o addirittura pagare debiti di altri enti con ricadute in negativo per le casse dello Stato (i debiti dei Comuni di Palermo e Catania, le quote latte e i morosi allevatori padani, le procedure d’infrazione per le emergenze rifiuti in Campania e i debiti nella sanità nel Lazio).
In parlamento 4 milioni di aventi diritto potrebbero ottenere decine e decine di rappresentanti ma la debolezza organizzativa delle famiglie con disabili non trova interlocutori interessati o, per usare termini più umani, sensibili alla loro causa etica.
I giorni passano, senza risposte certe. Spesso si tratta di dichiarazioni generiche che dicono tutto e niente. La vera causa di tutto questo è forse non ritenere calpestati i diritti di questi cittadini. Quindi non ritenersi interpellati dal malcontento in cui giacciono interi nuclei familiari.
Per i malati di Sla, non arriva alcuna risposta. Presidiano il ministero dell’Economia, luogo decisionale per definizione, in cui si inscenano ogni giorno delle proteste. Seduti in carrozzina o direttamente trasportati sui lettini con tanto di macchine a corredo, si uniscono per rivendicare il “terremoto quotidiano” a cui sono sottoposti sul piano economico e assistenziale. «Siamo solidali con gli emiliani» dice Stefano Maragone, ex calciatore e altre centinaia di persone rivendicano il diritto ad essere accuditi a casa, tra gli affetti, tra gli amici, convinti che un’esistenza come la loro vada vissuta ma con riservatezza, tra le braccia di chi si ama. Non a casa si chiede anche che vengano dismesse le strutture residenziali e data maggiore importanza al contesto abitativo.
Il premier – conclude Marangone – non vedrà persone atterrite ma volti degni, lottatori pronti a tutto, anche a correre il rischio di morire, pur di ottenere la possibilità di condurre un’esistenza dignitosa».
Queste vicende riguardano il vissuto quotidiano di centinaia di persone, un vissuto che rivendica dignità. Nessun assistenzialismo ma l’opportunità di beneficiare di iniziative volte a reperire, nel breve periodo, risorse adeguate per il sociale e per il Fondo in questione.