I gladiatori

Stanattina, complice uno splendido sole primaverile, dopo aver ravanato per un quarto d’ora nei cassetti più intimi del mio comò per ritrovare quello stramaleddetto certificato elettorale che è più infido nel nascondersi della tessera della sanità, mi sono avviato al mio seggio, fiero di poter compire il mio dovere elettorale, con quel senso di intimo appagamento così ben cantato da Gaber in quella splendida canzone che termina dicendo: “La matita…. quai quasi me la frego!” Ebbene al’ingresso del seggio ho intravisto un gruppetto di gente che gridava e si sbracciava, facendo capannello attorno a qualcosa che non riuscivo a vedere. Mi sono avvicinato preoccupato, pensando tra me: ci siamo… è il golpe! E invece, al centro del capannello ho visto due gladiatori che volteggiavano le loro armi minacciosi, urlando e sbraitando per darsi coraggio l’un l’altro. Quale non è stato il mio stupore nello scorgere sotto l’elmo da mirmillone del gladiatore più eccitato le fattezze di Cicchitto, mentre dietro la rete del reziario era chiaramente riconoscibile Bondi, un poco impacciato nel volteggio del tridente. Dopo aver più volte girato per l’arena improvvisata, dando spettacolo con le più ardite mosse di attacco e difesa, e rivolgendo lodi all’effige dell’Imperatore esposta su una scranno in un angolo, i due si sono avvicinati ad un gruppetto di terrorizzati comunisti, macilenti e vestiti di stracci, incatenati per le caviglie gli uni agli altri, e li hanno trascinati al centro della arena, e lì hanno comiciato ad aizzarli alla lotta, punzecchiandoli e lanciando al loro indirizzo osceni insulti. I meschini, tremebondi, ma fermi nel loro proposito di martirio, non rispondevano alle provocazioni e si limitavano a recitare brani del Capitale, invocando il sacrificio in nome della loro fede. La folla, come impazzita, invocava l’ecatombe, voltando il pollice verso il basso, nel segno esiziale della morte. Aizzati da quelle grida in pochi minuti i due gladiatori, dando prova di grande valentia, hanno fatto scempio dei poveri comunisti, senza pietà alcuna per donne vecchi e bambini. Di lì a poco al centro dell’arena restava solo un mucchietto di cenci sanguinati, e i due gladiatori si sono rivolti verso l’effige dell’Imperatore, sollevando le spade insanguinate, e hanno gridato all’unisono “vae victis”!
Dopo di che, rinfrancati dallo spettacolo, ci siamo recati tutti al seggio, felici di poter contribuire col nostro voto al sacro rito della Democrazia.